Che l’azzardo desse dipendenza, gli psicologi l’avevano capito da tempo. E infatti è normale che ormai a occuparsi dei suoi guasti psicologici e familiari siano le comunità che negli anni Settanta erano nate per far fronte alla dipendenza da eroina e alla tossicodipendenza in generale. Ma che si arrivasse a un omicidio in famiglia, per procurarsi una catenina da rivendere al “compro oro” dopo l’ennesima lite per i debiti di gioco, che si arrivasse all’esplosione di violenza come durante una crisi d’astinenza, non l’avevano previsto neppure gli esperti, che da anni sono impegnati nella lotta all’azzardo e ai suoi catastrofici effetti sociali.
Simone Feder, psicologo, responsabile dell’area adulti della Casa del
giovane di Pavia, tra i principali esperti italiani su questo tema,
ammette che quest’ultimo esito spiazza.
«Sappiamo che c’è un sommerso», riflette, «sappiamo che i malati
d’azzardo sono Dr Jackyll e Mr Hide, persone all’apparenza normalissime,
che fanno vite in apparenza normali, che non si sentono malate e quindi
non arrivano a chiedere aiuto, ma che perdono il controllo delle
proprie azioni. Ho sentito mogli dire del marito: «Non lo riconosco
più». Che però, in assenza di dipendenza fisica, si potesse arrivare a
uccidere, reggendo per giorni la finzione della rapina inscenata è una
cosa che ci sconcerta, perché è una frontiera che non abbiamo ancora
esplorato».
Quello che è certo è che soffre quanto meno di strabismo uno Stato, che
da un lato rende sempre più facile ai cittadini l’accesso all’azzardo,
fino a lasciar portare loro una sala da gioco in tasca (è di due mesi fa
l’apertura al gioco online, applicazione di una legge dell’estate 2011)
e dall’altro promette da più parti - anche contrapposte, in campagna
elettorale - di voler tassare il gioco, per destinarne i proventi a vari
e nobili fini. Apparentemente senza rendersi conto che il costo sociale
del gioco d’azzardo finirà presto per mangiarsi il guadagno che dal
gioco deriva.
Anche perché, se è vero che i cittadini giocano sempre di più, è
altrettanto vero che lo Stato guadagna dal gioco sempre meno – lo
dicono cifre ufficiali -, segno che la traccia di troppe giocate non
arriva come dovrebbe all’erario ma ad altre tasche. Di sicuro non
legali. Probabilmente le stesse che si nascondono dietro molti “compro
oro”.
Elisa Chiari
Aveva finto davvero bene, davanti ai giornalisti. "Mamma non so neanche
come sia morta, non me la fanno ancora vedere, so poco: la ricordo un
po' eccentrica, si fidava molto di tutti, in casa lasciava entrare
chiunque...”. Maria Cristina Filippini, 48 anni, casalinga, marito e tre
figlie, dissimulava in maniera un po’ grossolana, nelle ore successive
alla morte della madre di 90 anni.
Giuliana Bocenti è stata uccisa
lunedì, nella sua casa di Castel San Giovanni, nel piacentino: la
badante ha scoperto il corpo nel letto di casa; un fazzoletto serviva a
tapparle la bocca, mentre il cuscino premeva sul volto. E’ stata
soffocata proprio dalla figlia, per debiti di gioco, come appurato dai
carabinieri del nucleo investigativo. Aveva inscenato una rapina per
pagare in parte i debiti accumulati da quella dipendenza dall’azzardo,
tra videopoker e lotto.
Da anni combatteva l’automatismo del metti i soldi e aziona: la slot
machine, tirando giù la leva, o gli altri giochi, pigiando un bottone,
premendolo decine di volte, in maniera compulsiva; inseguiva il colpo
della vita anche azzeccando la schedina giusta, con le estrazioni. Maria
Cristina Filippini era stata adottata da Giuliana Bocenti, con la quale
aveva un rapporto conflittuale.
Ha confessato venerdì notte, durante l’interrogatorio cominciato venerdì
la sera, davanti al pm Emilio Pisante: “Le avevo rubato una catenina
d'oro che portava al collo, per rivendenderla in un negozio “compro
oro”, ricavandoci 280 euro”. I carabinieri avevano già recuperato quella
cifra, a sua insaputa. “Ho messo a soqquadro l'appartamento per far
pensare a una rapina”. I militari erano già arrivati anche a quella
conclusione, grazie a una serie di schiaccianti. Alla fine è crollata,
ha confessato.
Nel carcere delle Novate, deve rispondere di omicidio volontario, con le
aggravanti del matricidio, ai danni di una persona indifesa, per l’età
tanto elevata, gli inquirenti devono solo verificare se abbia coinvolto
altre persone. “Durante l’interrogatorio – spiega l’avvocato Luca
Caputi, che la incontrerà a inizio settimana -, ha mantenuto il
controllo, alla vista dei familiari però si è messa a piangere”. Non era
stata forzata la porta dell'appartamento al piano rialzato in cui
viveva da sola, il particolare avevano insospettito gli inquirenti. E
anche fosse stata rapina, perchè infierire su una persona così anziana? A
meno che lei non avesse riconosciuto l’aggressore.
Il capitano Rocco Papaleo ha stretto presto il cerchio dell’indagine tra
le conoscenze, sentendo i parenti e le badanti che si erano succedute
per assisterla, con intervento anche dei Ris di Parma, a caccia di
tracce sul luogo del delitto. L'omicidio aveva creato apprensione nel
paese emiliano, giovedì in prefettura, a Piacenza, c’era stata una
riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.
"La nostra comunità è stata violata – diceva il sindaco Carlo Capelli -,
non ci aspettavamo un delitto simile". Invece, come spesso avviene, il
peggio arriva da un congiunto strettissimo, in questo caso incapace di
controllare quei click pazzi in sala giochi e l’attesa per le estrazioni
del lotto con più schedine.
Vanni Zagnoli