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mercoledì 30 aprile 2025
 
 

Rifugiati: meno domande, più bisogni

10/04/2013  Il Centro Astalli dei Gesuiti presenta il Rapporto 2013, giunto alla dodicesima edizione. È una fotografia delle condizioni dei rifugiati in Italia. A tinte piuttosto fosche.

«Non si può continuare a tollerare che un Paese come l'Italia non sia in grado di offrire a ciascun richiedente asilo un'accoglienza dignitosa». È la denuncia del gesuita padre Giovanni La Manna, Presidente del Centro Astalli.

L’organismo umanitario lo scorso anno ha assistito 34.300 tra richiedenti asilo e rifugiati, (21.100 solo a Roma). L’occasione è la presentazione del Rapporto 2013 delle attività del Centro, una “fotografia” delle nostre politiche sui rifugiati. Questi oltre 34 mila profughi si sono rivolti nel 2012 alle otto sedi italiane del Centro Astalli, il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati. Sono stati accolti a assistiti da 465 volontari e 49 operatori.

Queste le cifre che presentano l’organismo umanitario italiano dei Gesuiti, e che fanno capire anche la rilevanza del Rapporto pubblicato dall’associazione. Una fotografia a tinte fosche: il dato più drammatico parla di 439 immigrati vittime di tortura, la maggior parte delle quali rappresentata da giovani uomini provenienti dal continente africano: Senegal, Guinea, Costa d’Avorio, Mauritania.

«Le vittime di tortura», spiega Berardino Guarino, direttore dei Progetti Centro Astalli, «che si sono sottoposte a una visita presso il nostro Centro sono state 267, con un incremento di oltre il 60 per cento rispetto all’anno precedente. Il dato che desta maggiore preoccupazione è che molto spesso queste persone, pur tanto provate, non riescono ad accedere a misure di accoglienza adeguate: il 22 per cento  ha dichiarato di vivere per strada, in edifici occupati o di essere saltuariamente ospitati da amici e conoscenti».

Spesso il disagio di queste persone emerge anche nei centri di accoglienza: è stato riscontrato un notevole aumento di ospiti affetti da problemi psichici anche gravi, conseguenze dei traumi e delle violenze subite, che necessitano di cure e assistenza specializzata. «Cure e assistenza», sottolinea Guarino, «che sono diventate una chimera. Che pena assistere allo scaricabarile tra enti di fronte alle esigenze di queste persone. Ci permettiamo di affermare che la legge di spending review e la varie manovre economiche del 2012, con i loro tagli lineari dei servizi, sono stati un vero atto di vigliaccheria nei confronti di coloro che hanno più bisogno».

Secondo i dati del Rapporto, la crisi economica ha colpito in modo particolare i più vulnerabili. Anche persone che da tempo avevano intrapreso un percorso di autonomia sono state costrette a rientrare nel circuito dell’assistenza.

Il documento, oltre a contenere un resoconto di un anno di attività del Centro Astalli, vuole essere uno  strumento per capire quali sono le principali nazionalità dei rifugiati che giungono in Italia per chiedere asilo. Quanti di loro riescono a ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o la protezione umanitaria. Quanti hanno rischiato la vita affrontando viaggi per mare o per terra ai limiti della sopravvivenza per giungere in Europa.

Il bilancio non è confortante, fin dalla prima tappa della fuga dalla guerra o dalla persecuzione. Spiega padre La Manna: «Di fronte a una dimensione della migrazione forzata mai raggiunta nella storia recente, con nuove emergenze in Siria, Mali, Sudan e Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centroafricana, le priorità dei politici sembrano altre. Mentre i Paesi dell’Africa e del Medio Oriente continuano a sobbarcarsi il carico più ingente dell’accoglienza dei rifugiati, l’Europa non cessa di concentrasi sul controllo spasmodico delle sue frontiere. L’accento continua a rimanere sulle misure di contrasto degli arrivi. Intanto, i viaggi si fanno più lunghi, più costosi, più pericolosi: ma restano inevitabili per chi non ha alternativa».

Nel mare delle nostre vacanze, continua la strage silenziosa dei naufragi e la lista delle vittime ignote del Cimitero Mediterraneo si allunga. Più di 600 nell’ultimo anno, come i due ragazzi somali morti per ipotermia lo scorso Sabato santo su una motovedetta della Guardia Costiera, a pochi metri dall’arrivo. Parlando di questi viaggi, Papa Francesco, che visiterà a breve il centro romano dei Gesuiti, li ha definiti nella preghiera del giorno di Pasqua la «schiavitù più estesa in questo ventunesimo secolo».

Anche le tappe successive sono difficili per i rifugiati giunti in Europa. Continua padre La Manna: «La distanza tra il Vecchio Continente e un’umanità in viaggio non è mai stata così profonda: il Regolamento di Dublino II, che ha compiuto 10 anni all’inizio del 2013, ne è probabilmente l’espressione più paradossale. Un insieme di regole volte a stabilire quale Stato europeo sia competente per l’esame delle domanda d’asilo diventa un insensato percorso a ostacoli per chi cerca protezione: famiglie separate, persone lasciate senza mezzi di sostentamento o addirittura detenute, lungaggini e rimpalli che rendono il diritto d’asilo inesigibile».

Intanto, richiedenti asilo e rifugiati che vivono in Europa continuano a subire le pesanti conseguenze della crisi economica: non solo tagli indiscriminati al welfare, ma un clima politico di aperta diffidenza che, nei casi più gravi, arriva a un’aperta ostilità. «Era da prima della seconda guerra mondiale», insiste padre La Manna, «che non si vedevano così tanti partiti populisti e xenofobi nei Parlamenti nazionali europei. Ma più grave di quello che alcuni dicono è quello che quasi tutti gli altri non dicono. L’asilo e la protezione internazionale sembrano essere ormai avvolti dal silenzio della politica. Un silenzio a tratti imbarazzato, a tratti addirittura arrogante, come se non fosse questo il momento per sollevare certe questioni».

Mentre nel 2012 le domande di asilo nei Paesi industrializzati sono cresciute dell’8 per cento, in Italia sono solo 15.700, meno della metà rispetto all’anno precedente, e soprattutto un numero bassissimo se paragonato ai principali Stati europei.

Eppure, l’analisi del Centro dei Gesuiti evidenzia «misure poco progettuali», mentre servirebbe, per evitare sprechi, «ripensare e razionalizzare il sistema di accoglienza nazionale, ancora gravemente insufficiente e dispersivo».

Con 115 mila pasti distribuiti in un anno e 16 servizi di prima e seconda accoglienza (mensa, centri d’accoglienza, presidi sanitari, scuola d’italiano, case famiglia, sportelli di orientamento per la ricerca della casa e del lavoro), il Centro Astalli continua a spendersi «per mitigare l’impatto di questo “non sistema” sulla vita di persone già duramente provate».

Colpisce un dato: nonostante la flessione del numero di richiedenti asilo, i migranti forzati che chiedono aiuto al Centro non sono diminuiti.

Infine, il problema dei ricongiungimenti familiari: ancora più complicata è la situazione di chi ha una famiglia a carico, oppure intraprende una procedura di ricongiungimento familiare e, da rifugiato, non può contare su misure di sostegno specifiche.

«Su questo ovccorre fare una sottolineatura più forte», conclude Guarino. «Si tratta di procedure molto complesse, sfibranti per chi è scappato e non vede l’ora di riabbracciare i propri cari. Durano anni, poi finalmente i parenti arrivano e lì cominciano i veri problemi, perché spesso si erano sottovalutate le difficoltà economiche per sostenere in una città come Roma una famiglia con 2, 3  o 5 figli».

I 34mila richiedenti asilo seguiti lo scorso anno dal Centro Astalli sono persone con nomi, storie e volti. Chi ce l’ha fatta e chi non ce l’ha fatta. I sommersi e i salvati, si potrebbe dire.

Come Dek, a cui è dedicato il rapporto, che ha trovato la morte il 27 gennaio a Roma in un rogo divampato nel sottopassaggio di Corso Italia, a due passi da via Veneto. Era noto tra i volontari del Centro Astalli per la sua gentilezza, i modi cordiali, la capacità di ringraziare sempre, anche per le cose più semplici.

Era molto legato alla sua famiglia, approfittava di ogni occasione per raccontare aneddoti sui suoi cari, per mostrare le loro foto custodite gelosamente nel portafogli malandato. Scappato dalla quotidiana violenza vissuta in Somalia, era giunto in Italia in cerca di salvezza, con i sogni e le speranze dei suoi 28 anni.

Lo ricorda Berardino Guarino, Direttore del Centro Astalli: «Col tempo, aveva perso la forza per lottare. Una vita sempre ai margini, senza dignità, senza una speranza concreta cui aggrapparsi, stava gradualmente spegnendo la sua voglia di combattere. Eppure da qualche mese qualcosa in lui sembrava essersi riacceso. L’antica energia sembrava esser tornata, come il desiderio di rimettersi in gioco, di riafferrare la propria vita. Fuggito dai pericoli vissuti nel suo Paese, è andato incontro a un drammatico destino proprio dove avrebbe dovuto trovare rifugio, protezione, aiuto. Un paradosso tragico e ingiustificabile, una disgrazia purtroppo annunciata se si pensa a quanti rifugiati, ogni giorno, sono costretti a vivere in sistemazioni precarie e pericolose perché esclusi da un sistema di accoglienza ormai saturo».

È scappato dalla Somalia anche Aweis, che invece ce l’ha fatta. «L’uomo che ha vinto tre volte» lo definisce il Rapporto del Centro Astalli. Fino a qualche anno fa, credeva di riuscire a cavarsela anche nel caos di Mogadiscio. Contava sui suoi mille contatti, sulla capacità di stare al mondo con un pizzico di astuzia. Anche quando le milizie di al-Shabaab hanno dato alle fiamme il suo cinema, uno spazio di leggerezza e di vita in una città piegata dagli scontri armati, non ha pensato subito di andarsene. Ha cercato di ritagliarsi uno spazio per un’esistenza tranquilla, venendo a patti con chi comandava in quel momento.

Poi una richiesta, inaccettabile: uccidere degli innocenti per provare la propria cieca obbedienza. A questo Aweis non può acconsentire. Rifiutandosi di diventare un assassino per paura, Aweis registra la sua prima vittoria, quella contro la spirale di violenza che da troppi anni travolge la sua Somalia. È una vittoria amara, che paga al prezzo della fuga.

Una discesa agli inferi in cui un orrore lascia il posto a un altro orrore: trafficanti senza scrupoli, un itinerario infinito in cui la vita umana sembra non contare più nulla, in quel Sahara in cui si vive o si muore per una manciata di dollari. Aweis combatte per sopravvivere, ma anche per non perdere la sua dignità, per non assuefarsi alle atrocità quotidiane.

Aweis vince ancora, sopravvivendo al suo personale duello con la morte. Il deserto non lo inghiotte, i flutti del Mediterraneo non lo travolgono. Neanche il percorso, tutto in salita, che deve intraprendere da rifugiato in Italia ne abbatte la forza d’animo.

La mente corre costantemente a chi è rimasto a casa. Qualcuno è stato ucciso dalla vendetta cieca dei persecutori. Ma a Mogadiscio ha lasciato tre bambini, che in tutta la loro vita non hanno mai conosciuto la pace. Non sarebbe un padre se non si buttasse, anima e corpo, anche in questa battaglia. Una guerra diversa, altrettanto estenuante: burocrazia, ritardi, cavilli incomprensibili. Ma è arrivata anche la terza vittoria, e i bambini ora sono con lui in Italia.

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