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giovedì 24 aprile 2025
 
 

Piccoli disabili: con chi giocano dopo la scuola?

02/12/2013  La disabilità si vive in solitudine. Anche nei Paesi più impegnati, civili e attrezzati. Pensiamo a quante volte il bambino disabile è invitato a giocare a casa di un compagno. E se durante l'adolescenza viene mai coinvolto in un'uscita con i suoi compagni.

Sono  circa 93 milioni i bambini che convivono con una disabilità moderata o grave e uno su venti è al di sotto dei 14 anni. Sono i dati più recenti dell'Unicef (Rapporto La condizione dell’infanzia nel mondo 2013-Bambini e disabilità) che mostrano una realtà purtroppo non troppo variegata. Nei Paesi in via di sviluppo i bambini con disabilità sono gli ultimi tra gli ultimi, i più trascurati e vulnerabili. Per non parlare di coloro che vivono nel Terzo mondo.

Probabilmente nei Paesi del cosiddetto "primo mondo" apparentemente gli aiuti e i sostegni per questi bambini e le loro famiglie sono molto più efficienti.  Ma a parte le differenze di cura, presa in carico, terapia, riabilitazione che cambiano a seconda della civiltà e della ricchezza del Paese, resta per tutti un unico filo rosso che unisce la disabilità: l'emarginazione.

Possiamo infatti nasconderci dietro l'alibi dell'efficienza dei servizi, della possibilità di frequentare le scuole, dell'aiuto alle famiglie e delle numerose leggi che sulla carta non dimenticano i cittadini più fragili. Ma resta una certezza. Una quotidianità che conoscono bene solo i diretti interessati e i loro genitori: la solitudine nell'affrontare una vita in salita. Una solitudine che numerose associazioni di volontari cercano di mitigare e alleviare, ma che resta la costante della disabilità.

In Italia secondo il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca il numero degli studenti con disabilità (anno scolastico 2011/2012) è stato complessivamente di 215.590 unità. Ma come prova della loro invisibilità sempre l'Unicef ci porta a conoscenza del fatto che in Italia i dati che li riguardano sono scarsi: «I bambini e gli adolescenti con disabilità e le loro famiglie sono troppo spesso invisibili – nelle statistiche, nelle politiche, nelle società. Questa tendenza si riscontra nella mancanza di studi periodici e dati aggiornati sui bambini con disabilità, che spesso  vengono trascurati nelle statistiche sia in termini numerici  sia rispetto al raggiungimento dei loro diritti».

Nelle classi dei nostri figli, nelle scuole modello dove sono state abbattute le barriere architettoniche, dove ancora non mancano gli insegnanti di sostegno, le attività pensate e centrate per far sì che i ragazzi lavorino tutti assieme al compagno con disabilità, fisica o mentale che sia,  funzionano e danno anche dei buoni risultati. I "normali" lo sappiamo possono imparare molto da queste esperienze. Con piacere ascoltiamo nelle riunioni di classe gli insegnanti esprimere soddisfazione per l'integrazione del bambino disabile in classe e per fortuna, in moltio casi, la buona reazione e interazione dei coetanei. Armati davvero di buona volontà. E tutto questo è davvero lodevole.

Ma resta un rumore di fondo che non può venire a galla perché è difficile da accettare e riguarda tutti coloro che con la disabilità non devono conviverci ogni giorno, anche i più impegnati e sensibili. Dopo la scuola quante volte il bambini disabile è invitato a giocare a casa di un compagno. E durante l'adolescenza quante volte succede che venga coinvolto in un'uscita con i suoi compagni. E finiti gli studi. Quanti ragazzi lo cercheranno pur ricordandosi di lui.

Ed è un vero peccato non riuscire a superare tutto ciò perché sappiamo quanto siano vere le parole del Direttore generale dell’Unicef Anthony Lake «Quando si vede la disabilità prima di vedere il bambino, non è un danno solo lui, ma si sottrae alla società tutto ciò che il bambino può offrire» e aggiunge  «La sua perdita è una perdita per la società; la sua vittoria è una vittoria per la società».

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