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martedì 17 settembre 2024
 
protagonisti
 

Pierfrancesco Favino: «A volte è giusto disobbedire»

15/11/2023  In "Comandante" l'attore interpreta un militare che salva un gruppo di naufraghi nemici. Andando contro ogni regola

Io confesso. È con queste parole, che richiamano anche un capolavoro di Hitchcock, che si apre il romanzo Comandante, scritto a quattro mani da Edoardo De Angelis e Sandro Veronesi. Si tratta di uno dei pochi casi in cui è nato l’omonimo fi lm prima del libro. Comandante ha aperto, in concorso, l’ultima edizione della Mostra del cinema di Venezia. Racconta di Salvatore Todaro, del sommergibile Cappellini e di uno scontro in mare dall’esito inatteso. Siamo nel 1940, nel pieno della Seconda guerra mondiale, quando il Cappellini affonda una nave belga. Il comandante Todaro salva 26 naufraghi nemici, andando contro ogni regola. A prestare il volto al protagonista è Pierfrancesco Favino, che si conferma uno dei migliori attori anche con la divisa e in mare aperto. «Sono venuto a contatto con una vicenda che non conoscevo. Ignoravo la condizione umana dei sommergibilisti. È la storia di un uomo che, disobbedendo, mette la vita al primo posto. È qualcosa in cui credo fermamente, che amo rappresentare. Non so se sono nato con questa sensibilità o se me l’hanno insegnata, però la sento dentro di me», spiega Favino.
A volte è giusto disobbedire?
«Se le finalità sono positive penso di sì. Non possiamo andare contro noi stessi. Dobbiamo essere in grado di sganciarci, crescendo, da dettami magari generati dalla paura, serve rischiare. Sono un attore perché ho disobbedito. Mio padre avrebbe voluto altro per me: lo studio, un lavoro più tradizionale. Vengo da una famiglia anni Sessanta, all’epoca si puntava alla laurea, a una professione sicura e stabile. Adesso posso dire di essere stato fortunato, ma in tanti momenti non è stato semplice».
Che cosa significa essere un comandante?
«Esprimere solo certezze. Mai mostrare debolezza o fragilità, perché dalle sue scelte dipende l’esistenza degli altri. Si tratta di una solitudine. La leadership però non si costruisce, è innata. Ispira fiducia, rassicura. Ognuno di noi ha i suoi modelli, persone che si seguono, si leggono. Todaro però è un militare, che è qualcosa di molto lontano da me. Non sono mai laurea, a una professione sicura e stabile. Adesso posso dire di essere stato fortunato, ma in tanti momenti non è stato semplice».
Che cosa significa essere un comandante? «Esprimere solo certezze. Mai mostrare debolezza o fragilità, perché dalle sue scelte dipende l’esistenza degli altri. Si tratta di una solitudine. La leadership però non si costruisce, è innata. Ispira fiducia, rassicura. Ognuno di noi ha i suoi modelli, persone che si seguono, si leggono. Todaro però è un militare, che è qualcosa di molto lontano da me. Non sono mai stato affascinato dalla guerra, da bambino non giocavo con le “armi”».
Che cosa dovremmo fare per evitare le guerre? «Parlarci, mettere il dialogo al primo posto. Anche avere il coraggio di guardare le cose da una prospettiva diversa. Io, per esempio, parlo italiano, inglese, francese, spagnolo e poi mi sto dedicando faticosamente all’arabo. Mi vorrei avvicinare anche all’Asia. Forse, se non avessi fatto l’attore, sarei potuto diventare un antropologo linguistico. Trovo che le lingue siano uno strumento fondamentale per capire il pensiero di chi ci circonda. È importante sapere che lo stesso oggetto può avere nomi o significati diversi. La conoscenza è fondamentale per raggiungere e preservare la pace».
Si può restare umani durante un conflitto? «Non lo so. Ragioniamo da posizioni privilegiate. Ci professiamo pacifisti, però non sappiamo come potremmo reagire quando veniamo minacciati direttamente. Sostenche ogni tipo di guerra deve essere fermata, ma non ho mai dovuto affrontarla, non ho mai subito una violenza, grazie a chi è venuto prima di noi, a quello che c’è scritto nella Costituzione. Poi è davvero complesso decodificare ciò che ci capita attorno se non si è storici o esperti di geopolitica. Abbiamo dati limitati per agomenti di grande spessore. In generale, percepisco che abitiamo in un mondo sempre più aggressivo, e questo aspetto è strettamente collegato alla solitudine».
Che cosa significa accogliere?
«L’ho vissuto sulla mia pelle. Sono cresciuto in una situazione in cui mia madre e mio padre portavano a casa nostra chi aveva bisogno di aiuto. Mi hanno insegnato a mettermi nei panni degli altri, a donarmi.
Accogliere significa saper distinguere tra il privilegio e la difficoltà, e cercare di cambiare le cose. Siamo tutti in balia di situazioni più grandi di noi, dobbiamo darci una mano. Per me è naturale, è l’esempio a cui mi sono ispirato. Se vedo qualcuno in crisi per strada, mi fermo. Poi non pubblicizzo le mie azioni, ma mi piace agire».
Adesso è sul set?
«Sto lavorando su due progetti. Uno è segreto, per contratto, ma è straniero. L’altro è Il conte di Montecristo, una produzione francese, con Pierre Niney che interpreta Edmond Dantès. Non posso rivelare nulla del mio personaggio, ma mi piace molto»

 
 
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