Dove non arrivano le gambe,
arriva il cuore. È questo
il vero motore della vita e
delle esperienze di Pietro
Scidurlo che da 37 anni, per
un errore alla nascita, è sulla
sedia a rotelle. «Ero podalico, mi hanno
tirato fuori per le gambe spezzandomi la spina dorsale. Lì è finito tutto».
O forse è iniziato. Se nel 2012, proprio
perché non riusciva ad accettare la sua
disabilità, ha deciso di affrontare con
una handbike il Cammino di Santiago
di Compostela. Lui che da due anni si
allenava a livello agonistico, ma che è
tornato da quell’esperienza completamente
trasformato.
«Capisco all’improvviso cosa voglio
fare nella vita. Che vincere non è
arrivare primo, ma far sì che quel che
faccio io lo possano fare altre persone,
vedere altri 10, 100, 1000 Pietro che
fanno il pellegrinaggio verso Compostela.
Fondo, così, Free Wheels (“ruote
libere”) una Onlus che altro non è che
il mio modo di vivere superando
gli ostacoli tutti i giorni. Obiettivo:
spingere le persone a misurarsi con
un’esperienza estrema per far capire
loro la bellezza dell’incontro. Con se stessi e con la spiritualità. Il cammino
come occasione per rallentare
una vita frenetica, in cui andare e, contemporaneamente,
ridurre la velocità.
Il cammino come strumento per
crescere e capire cosa conta davvero.
Saper preparare il proprio zaino,
cosa portare e cosa lasciare, le tre
cose che non possono mancare, il
che significa sapersi organizzare
la vita». Impegno che si traduce nella
scrittura della prima guida europea
per disabili, Il cammino di Santiago per
tutti (edito Terre di Mezzo), «per sensibilizzare
al pellegrinaggio che può abbracciare
anche le esigenze speciali».
IL VERO CAMMINO È NELL’ANIMA
La
mattina del Lunedì dell’Angelo di
quest’anno, il 28 marzo, Pietro riparte
da Somma Lombardo diretto a Roma
lungo la Via Francigena. «Senza un
automezzo di supporto e grazie a un
carrellino costruito da Giancarlo Cotta
Ramusino per trasportare la sedia
a rotelle. Io insieme a Bartolomeo
Scidurlo, mio padre e tesoriere dell’associazione,
Roberto D’Amato che fa la
Francigena con un trike a causa della
sua emiplegia, e Pino Baldissera. Dopo
885 chilometri il 12 aprile arriviamo
a Roma dove incontriamo il ministro
Dario Franceschini, un sogno
per me e l’opportunità perché quel
che faccio possa arrivare a chi opera
nel settore per aprire nuove strade.
E dove ho il dono di incontrare papa
Francesco. Mi ero preparato 2.500 parole,
ma sono riuscito a dirgli soltanto:
“Faccia in modo che l’esperienza del
pellegrinaggio religioso possa abbracciare
sempre più persone perché davvero
ti cambia la vita».
In quell’occasione Pietro riceve la
placchetta del Pellegrino, antico Testimonium
metallico proveniente dagli
archivi della Biblioteca apostolica vaticana,
svelato a fine febbraio dopo quasi
mille anni, in occasione del Giubileo
della misericordia. Il riconoscimento
è una riedizione di quel Testimonium
usato fino al 1500, con la riproduzione
dei santi Pietro e Paolo, che “certicava”
l’arrivo a Roma dei pellegrini diretti
alle tombe degli apostoli e per il Giubileo.
A Scidurlo l’hanno consegnato per
aver percorso con la sola forza delle
braccia, della volontà e della fede il
Cammino di Santiago e la Via Francigena.
«Lo attaccherò allo zaino per sognare
una Via Francigena per tutti», ci
dice orgoglioso.
La placchetta è finita anche al collo
di Bergoglio. Gliel’ha consegnata, il 24
febbraio, il campione olimpico Abdon
Pamich, uno degli atleti più medagliati
nella specialità della marcia 50
chilometri, quaranta volte campione
italiano su varie distanze, emblema
per eccellenza del “cammino”. «Papa
Francesco», ha commentato l’atleta
ormai ottantaduenne, «è più campione
di me nel marciare verso grandi traguardi
umani e spirituali».