Ci piacciono gli
scrittori, specie
se giovani, che
amano le sfide impegnative.
Tra questi
annoveriamo
senz’altro Andrea
Bajani, che si era
guadagnato un posto
nella categoria già con Se consideri
le colpe, e lo merita ancora
di più per l’ultimo romanzo, Ogni
promessa (Einaudi).
A fare di lui un autore
per nulla scontato, proteso a seguire
una personale ricerca di senso,
anche quando richiede di battere
vie impervie, sono i due elementi
fondamentali di ogni racconto:
i temi che vengono sviluppati
e la scrittura.
Partiamo dunque dai temi. La
storia è affidata alla voce di un io
narrante, Pietro, e si dispiega come
un lungo flusso di coscienza. Fallito
il tentativo di avere un figlio con
Sara, i due giovani si separano. Ma
cosa rappresentava quel figlio per
loro? In quegli stessi giorni muore
Mario, il nonno, sopravvissuto sì alla
ritirata di Russia, ma psicologicamente
morto, mentalmente mai
tornato. Il rapporto con Mario è
ambivalente per Pietro, come lo è
stato per la madre, sempre in bilico
fra rimozioni e tardive “agnizioni”.
Intanto il protagonista fa amicizia
con Olmo, un anziano che ha
preso possesso della vecchia casa
di famiglia. Anche lui è un reduce
della Russia, anche lui è ossessionato
dai ricordi, che prendono forma
in mappe e fotografie che spuntano
dagli scaffali e dai libri, liberati
da una confidenza catartica. L’immagine
in bianco e nero di un giovane
soldato russo appeso alla forca
sembra annodare le fila fra presente
e passato, rende insostenibili
le rimozioni e le omissioni, impone
di assumersi le proprie responsabilità
e di guardare in faccia con
coraggio le proprie colpe. Diventa
necessario dire, finalmente, il non
detto, affinché l’assunzione del passato
riconcili e redima il presente.
Tutto ciò trova espressione in
un viaggio in Russia, alla ricerca
di qualche traccia di quel corpo
penzolante, ma, ancor più, dei fantasmi
di Mario, della madre e di
Olmo da una parte, e di Pietro e Sara
dall’altra. Pietro parte per conto
di tutti loro...
Un ulteriore elemento va sottolineato: Ogni promessa è una storia senza padri, di sole madri. Tanto sono presenti e decisive queste ultime, quanto assenti - per le più svariate ragioni - i primi. Conosciamo bene la madre di Pietro; incontreremo la receptionist dell'albergo, ragaza-madre; la compagna di viaggio del protagonista è sola, e si ripresenterà sempre senza un uomo. I padri? Quello di Pietro non brilla certo per coinvolgimento. Gli uomini che incontreremo in Russia non possono più parlare: sono morti.... In un certo senso, il viaggio di Pietro va letto anche come una ricerca del padre.
E la scrittura? La lunga preparazione
del viaggio – che spezza un
universo claustrofobico e irrisolto,
segnato dalla colpa e dai silenzi – e
il viaggio stesso vengono raccontati
con una lingua essenziale, senza
concessioni all’effetto eppure capace
di creare immagini intense, tesa
ad ascoltare i moti del cuore dei
personaggi e a disegnare il loro doloroso
percorso. Uno stile che aderisce
bene a una storia che ci insegna
come ogni nuovo inizio presupponga
l’accettazione consapevole
di ciò che è stato.