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lunedì 27 marzo 2023
 
 

Quando Pistorius diceva: l'handicap mi ha reso più forte

22/10/2014  Riproponiamo l'intervista che l'atleta, condannato a cinque anni di reclusione per l'omicidio della fidanzata, rilasciò a Famiglia Cristiana nel giugno del 2008, nel momento in cui la sua carriera e la sua fama erano all'apice.

«Se Dio mi chiedesse: “Oscar, posso ridarti le gambe: le vuoi?”, io dovrei rifletterci. Non risponderei subito di sì. Perché in realtà non mi sento affatto fregato dalla vita. Se avessi avuto le gambe, non sarei diventato l’uomo che sono, credo che non avrei avuto questo stimolo a superare me stesso e diventare un atleta. Sarei come un sacco di altri ragazzi, che si impigriscono. Forse non avrei mai scoperto il mio potenziale e avrei avuto una vita più ordinaria».

Il racconto della favolosa vita di Oscar Pistorius, uomo e atleta fuori dal comune,
comincia con queste parole, che il lettore troverà nel libro Dream Runner - In corsa per un sogno pubblicato da Rizzoli proprio in questi giorni e che Famiglia Cristiana presenta in anteprima ai suoi lettori.

Parole toccanti e profonde, riflesso di una storia che ha il sapore della favola, del miracolo diventati possibili non nonostante l’handicap, ma, paradossalmente, anche grazie all’handicap.

Oscar Pistorius nasce il 22 novembre del 1986 a Johannesburg, in Sudafrica. È il padre il primo a rendersi conto che qualcosa non va: al neonato manca il perone, è necessaria l’amputazione. A questo punto entra in gioco uno dei protagonisti di questa favola dei nostri tempi, la famiglia Pistorius, per la quale l’espressione “non posso” è bandita dal vocabolario. Papà e mamma – il fratello maggiore Carl era piccolo, la sorellina Aimée arriverà dopo – prendono in mano la situazione senza vittimismo, cercano le soluzioni migliori, a 17 mesi regalano al figlio le sue prime protesi, ma soprattutto gli insegnano a considerarsi un bambino normale.

«Prima ancora di imparare a parlare», ci racconta Oscar, «ho capito che il concetto di normalità o disabilità sono del tutto relativi. Da solo, non avrei mai maturato questa convinzione: lo devo alle persone che mi sono state vicine, in particolare, ai miei genitori, a mio fratello e mia sorella». La madre gli scrive una lettera, da leggere quando fosse diventato grande: «Chi perde davvero non è chi arriva ultimo nella gara. Chi perde davvero è chi resta seduto a guardare, e non prova nemmeno a correre».

Oscar la prende alla lettera e diventa «un selvaggio». Gioca, corre, si diverte. Ogni tanto le protesi si rompono e bisogna sostituirle. L’attività sportiva è un pilastro del sistema educativo delle scuole frequentate dal ragazzo. «Lo sport mi ha sempre spinto a crescere, a superare i miei limiti », dice Oscar, «per questo penso che tutti dovrebbero praticarlo fin da piccoli». Si appassiona al rugby e alla pallanuoto, mentre l’atletica lo attira molto meno. Mette un’energia speciale in quello che fa, vuole dimostrare a sé stesso e al mondo che quel vuoto, riempito da due protesi, non gli impedisce di assecondare i suoi sogni.

«Se fossi nato “perfetto” non avrei mai fatto tutti questi progressi. L’handicap mi ha reso più forte, mi ha dato qualcosa in più, piuttosto che qualcosa in meno: la volontà conta più del corpo che il destino ti assegna. Tanti ragazzi normodotati hanno tutto dalla natura, ma sono senza volontà e non si impegnano».

Arrivano momenti duri. Nel marzo del 2002 perde la madre, a cui era affezionatissimo. Nel giugno dell’anno seguente, giocando a rugby, subisce un grave infortunio. «Ho pensato che da quel momento in poi la mia vita superattiva, in cui lo sport era tutto, avrebbe subìto una svolta». E così è stato, ma non nel senso in cui temeva Oscar. La fisioterapia lo costringe a lunghe sedute di atletica, l’odiata atletica! Scherzi del destino... Così, per puro caso, Pistorius si scopre dotato di qualità straordinarie. Su speciali protesi da corsa, mentre si allena per la riabilitazione realizza tempi eccezionali, veri e propri record per lo sport paralimpico (per atleti disabili).

Da quel momento tutto accade molto in fretta. Solo otto mesi dopo gareggia alle Paralimpiadi di Atene 2004 nei 200 metri.
Pieno di paura, annichilito da mostri sacri dello sport, stecca la partenza, ma riesce comunque a vincere, stabilendo il nuovo record di categoria... Un trionfo del genere avrebbe appagato chiunque, non Oscar Pistorius. «A quel punto mi è venuta voglia di confrontarmi con gli atleti normodotati, perché non mi considero né un atleta disabile né un atleta normodotato, bensì un atleta e basta, e come tale gareggio con chiunque, cercando di superare ogni volta il mio limite. Preferisco arrivare secondo avendo migliorato il mio tempo, che vincere con un tempo peggiore al mio record personale».

Il 13 luglio del 2007 anche questo sogno diventa realtà: Oscar è in Italia, a Roma, per gareggiare sui 400 metri in una competizione non riservata ai disabili. E arriva secondo! Aquel punto, però, il mondodell’atletica comincia a guardarlo con sospetto. La federazione internazionale commissiona uno studio all’Università di Colonia, dal quale emergerebbe che l’utilizzo di protesi da corsa garantisce un vantaggio tecnico. Si scatenano polemiche e dibattiti: chi tira un sospiro i sollievo, chi s’indigna. E Oscar? Fa ricorso.

La recente sentenza del Tribunale di Losanna, che riconosce la parzialità dei test di Colonia (avevano dimenticato i possibili svantaggi delle condizioni di corsa di Pistorius), riapre i giochi: Pistorius può competere con gli atleti normodotati. «Non è stata una mia vittoria personale», dice Oscar, «ma una vittoria di tutti, dello sport in quanto tale, contro ogni discriminazione». Il sogno continua. Pistorius in queste settimane sarà a Milano e a Roma per partecipare ad alcuni meeting di atletica, dove cercherà di realizzare i tempi necessari per qualificarsi alle Olimpiadi di Pechino. «È una sfida molto difficile. Mi sto allenando duramente e pregando».

Comunque vada, è un campione.

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Pistorius. La fine di un campione
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