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martedì 12 novembre 2024
 
Alimentazione
 
Benessere

Più frutta più salute

15/08/2015  I danni di un basso consumo di vegetali sono gravi per i bambini e le donne in maternità, perché l’apporto di vitamine e micronutrienti è decisivo durante la crescita e la gravidanza. Ecco perché non devono mai mancare sulla nostra tavola...

Un caleidoscopio non solo di colori ma anche di aromi, suoni e culture: siamo nel cluster di Expo “Frutta e legumi” che su 3.700 metri quadrati raggruppa otto Paesi alla ricerca di un riscatto economico e sociale. Dall’Africa ci vengono incontro Benin, Zambia, Repubblica Democratica del Congo, Gambia, Guinea e Guinea Equatoriale. Dall’Asia centrale l’Uzbekistan e il Kirgyzistan, repubbliche generate dal dissolversi dell’Unione Sovietica.

Un mercato e una piazza accolgono i visitatori, creando uno spazio comune che unisce i Paesi rappresentati. È signifi cativo che non compaiano i grandi produttori su scala mondiale, per esempio la California, ma Paesi minori, che di solito non si aff acciano alle nostre tavole. Soprattutto di frutti selvatici visse per due milioni di anni l’umanità prima di inventare l’agricoltura. Il Giardino dell’Eden è l’eco che ne rimane nella Bibbia. Una mela è l’eterno frutto-simbolo da Adamo ed Eva alla multinazionale di Steve Jobs che ci inonda di smartphone, tablet e computer.

Lo ricorda anche lo studio scientifico che l’Expo ha affi dato all’Università Vita Salute del San Raff aele, coordinato da Roberto Mordacci. Un basso consumo di frutta e verdure, dovuto a scarsità di risorse o a diete sbagliate, è il sesto fattore di mortalità secondo la classifica dell’Organizzazione mondiale della sanità, che a esso riconduce il 4,4 per cento dei decessi. Il 13 per cento dei casi di ipertensione, il 9 per cento degli ictus, l’11 per cento degli infarti e il 14 per cento delle malattie gastrointestinali hanno origine da uno scarso consumo di frutta e verdura. La Fao, Organizzazione mondiale per l’agricoltura e l’alimentazione, raccomanda cinque porzioni di frutta e verdura nella dieta giornaliera: questo stile alimentare salverebbe tre milioni di vite all’anno.

Siamo lontani dall’obiettivo della Fao. Gli italiani in media consumano solo 451 grammi di frutta e verdure al giorno, poco più di un quinto della quantità raccomandata, ma in ogni caso meglio della media europea, che è di appena 386 grammi. I danni di un basso consumo di frutta e verdure sono particolarmente gravi per i bambini e le donne in maternità, perché l’apporto di vitamine e micronutrienti è fondamentale durante la crescita e la gravidanza. La malnutrizione nei primi anni di vita causa danni permanenti alla memoria, alla vista e alle abilità cognitive: 160 milioni di bambini si trovano in queste condizioni drammatiche e quasi due miliardi di persone hanno ritardi cognitivi o disabilità fi siche più o meno gravi riconducibili a malnutrizione.

Il costo sanitario della malnutrizione è enorme, viene stimato – secondo lo studio per Expo dell’Università Vita Salute – in 3.500 miliardi di dollari all’anno. Si calcola che ogni dollaro speso – ma è meglio dire investito – nel miglioramento della dieta di un bambino malnutrito dia un ritorno economico di 30 dollari. Per limitarci agli Stati Uniti, se ogni americano aggiungesse una porzione al giorno di frutta o verdura, la spesa sanitaria Usa scenderebbe di 5 miliardi di dollari all’anno e si salverebbero trentamila vite. Il cluster di Expo mette insieme frutta e legumi adottando per la parola legumi un signifi cato allargato a tutte le verdure (come avviene nella lingua francese). Per esempio, include nei “legumi” broccoli e in generale le brassicacee, utili nella prevenzione dei tumori, e le cipolle, note per la prevenzione di disturbi cardiocircolatori e per virtù antiossidanti.

In senso proprio, però, sono leguminose quelle verdure i cui semi sono ricchi di proteine vegetali e carboidrati (zuccheri), non soltanto di fibre, vitamine e sali minerali. Le più diff use sono le lenticchie, i fagioli, i ceci, le fave, i piselli e i semi di soia. Il pregio nutrizionale dei legumi sta nel fatto che sono alimenti intermedi tra i cereali (come riso, grano, mais...), che hanno un contenuto prevalente di carboidrati, e la carne, che ha un contenuto prevalente di proteine.
Nei legumi troviamo in media un 50 per cento di carboidrati e un 20 per cento di proteine, pressoché la stessa percentuale della carne. A ciò si aggiunge un notevole contenuto di vitamine, specialmente B1, B2, PP e C, e di minerali come calcio, fosforo e ferro. I ceci, le fave secche e soprattutto la soia hanno anche una percentuale notevole di grassi vegetali, che incidono favorevolmente sul colesterolo contrastando i grassi animali. Si distingue, in particolare, la soia, che su 100 grammi di prodotto mangiabile ha 35 grammi di proteine, 18 grammi di grassi e 31 grammi di carboidrati.

Dalla soia si può davvero ottenere una “bistecca vegetale”. Giustamente valorizzati dalla nostra cucina povera tradizionale sono i fagioli secchi (21 grammi di proteine, 1,6 di grassi, 57 di carboidrati), le lenticchie (25 grammi di proteine, 1 grammo di grassi e 56 grammi di carboidrati) e i piselli (6,7 grammi di proteine, 0,4 di grassi, 60,5 di carboidrati se freschi; 24,5 di proteine, 1,1 di grassi e 60,5 di carboidrati nel caso dei piselli secchi – sempre per 100 grammi di prodotto mangiabile). Attualmente il consumo medio di legumi è soltanto di 6-7 chilogrammi per persona all’anno: c’è un ampio spazio per aumentarlo a favore della salute collettiva e di un contenimento della maggior produzione di carne con annesso impatto ambientale. Ma si calcola che nel 2050 servirà un 60 per cento in più di prodotti agricoli, e per questo sono necessari 70 miliardi di ettari coltivabili.

In sintesi, la sostenibilità passa per il regno vegetale e in particolare per il potenziamento della coltivazione dei semi di leguminose. È questo il messaggio che dovrebbe entrare nelle politiche agricole e educative sia dei Paesi sviluppati sia di quelli in via di sviluppo. Non sono in gioco solo questioni alimentari, pure importanti, ma diritti umani da garantire a tutta la popolazione del Pianeta. Tornando alla frutta, il cluster di Expo ne esalta le molte varietà, alcune per noi ancora relativamente esotiche, altre tradizionali per la nostra tavola almeno dal tempo delle esplorazioni transoceaniche. Vediamo le virtù nutrizionali di alcuni di questi frutti.

L’albicocca nel nome scientifi co, Prunus armenica, ricorda le sue origini nel vicino Oriente. Ha un elevato contenuto di potassio e carotene (che l’organismo utilizza per formare la vitamina A) e apporta le vitamine B1, B2, mentre è quasi priva di vitamina C. È lievemente lassativa, azione favorita dalla presenza di un particolare zucchero, il sorbitolo. L’ananas trae il nome dalla parola nana, che nel linguaggio degli antichi indigeni brasiliani signifi cava “frutto eccellente”. La varietà più pregiata però viene dalle isole Hawaii. L’ananas contiene bromelina, enzima che aiuta la digestione delle proteine: una fetta di ananas è un ottimo modo per concludere un pasto a base di carni. La bromelina non resiste al calore, quindi non la troveremo nelle marmellate né in torte o altri dolci con ananas che siano stati cotti in forno. La bromelina dell’Ananas comosus comprende due forme di enzimi proteolitici utilizzati in farmaci antinfi ammatori e antiedematosi nonché contro le dispepsie.

È dimostrata un’attività antitrombotica e antitumorale. Tra gli usi industriali, l’intenerimento delle carni in scatola e la chiarifi cazione della birra. La papaia, Papaya carica, frutto originario della Malesia ma diff uso in Africa e in Brasile, contiene una sostanza proteolitica, la papaina, simile alla bromelina. Anch’essa agevola la digestione e ha gli stessi usi industriali. La papaia fornisce buone quantità di vitamine idrosolubili (B1, B2, PP, C), di antiossidanti e di potassio, fosforo e ferro. La mela è tra i frutti più diff usi nel mondo, peccato che la produzione su scala industriale ne abbia fatto perdere la biodiversità, ben documentata anche su un piccolo territorio italiano dal “Museo della frutta” che si trova a Torino presso il Museo universitario di Anatomia. Le mele danno un apporto moderato ma equilibrato di vitamine, sono abbastanza ricche di potassio e soprattutto di fi bra. Fitosteroli e pectina possono renderle di non facile digestione, mentre sono raccomandabili nella cura di malattie gastrointestinali di tipo diarroico. La composizione della pera è vicina a quella della mela. Frutto coltivato fi n dall’antichità – i romani ne selezionarono 41 specie – nasconde nella buccia una quantità di vitamine da 2 a 5 volte maggiore rispetto alla polpa. Buono l’apporto di potassio e di fosforo. Con un gusto che ricorda la pera, il mango, Mangifera indica, è coltivato in tutte le regioni tropicali.

La sua polpa è ricca di fi bre, vitamina C, carotenoidi e in generale di sostanza antiossidanti. Notevoli gli Omega3 in funzione anti-colesterolo. Il triterpene del mango inibisce il cancro della prostata. Grande rilievo meriterebbero gli agrumi – arancia, limone, pompelmo, mandarino… – tutti ricchi di vitamina C, ma sono troppo noti per parlarne qui. Stesso discorso per la banana, buona riserva di potassio e di vitamina B6, che favorisce il metabolismo delle proteine. Da segnalare, invece, per l’alto contenuto di grassi, è l’avocado, Persea americana Mill, originario dell’America Centrale. La polpa, dalla consistenza burrosa, ci fa subito intuire che si tratta di un frutto alquanto calorico. Contiene potassio e una discreta quantità di vitamina C e di betacarotene. Nell’avocado c’è però anche un acido grasso detto persina, tossico per varie specie animali, innocuo per l’uomo.

 
 
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