Un caleidoscopio non solo di colori
ma anche di aromi, suoni
e culture: siamo nel cluster di
Expo “Frutta e legumi” che su
3.700 metri quadrati raggruppa otto Paesi
alla ricerca di un riscatto economico e
sociale. Dall’Africa ci vengono incontro Benin,
Zambia, Repubblica Democratica del
Congo, Gambia, Guinea e Guinea Equatoriale.
Dall’Asia centrale l’Uzbekistan e il
Kirgyzistan, repubbliche generate dal dissolversi
dell’Unione Sovietica.
Un mercato
e una piazza accolgono i visitatori, creando
uno spazio comune che unisce i Paesi
rappresentati. È signifi cativo che non
compaiano i grandi produttori su scala
mondiale, per esempio la California, ma
Paesi minori, che di solito non si aff acciano
alle nostre tavole.
Soprattutto di frutti selvatici visse per
due milioni di anni l’umanità prima di inventare
l’agricoltura. Il Giardino dell’Eden
è l’eco che ne rimane nella Bibbia. Una mela
è l’eterno frutto-simbolo da Adamo ed
Eva alla multinazionale di Steve Jobs che ci
inonda di smartphone, tablet e computer.
Lo ricorda anche lo studio scientifico che
l’Expo ha affi dato all’Università Vita Salute
del San Raff aele, coordinato da Roberto
Mordacci.
Un basso consumo di frutta e verdure,
dovuto a scarsità di risorse o a diete sbagliate,
è il sesto fattore di mortalità secondo
la classifica dell’Organizzazione mondiale
della sanità, che a esso riconduce il
4,4 per cento dei decessi. Il 13 per cento
dei casi di ipertensione, il 9 per cento degli
ictus, l’11 per cento degli infarti e il 14 per
cento delle malattie gastrointestinali hanno
origine da uno scarso consumo di frutta
e verdura. La Fao, Organizzazione mondiale
per l’agricoltura e l’alimentazione,
raccomanda cinque porzioni di frutta e
verdura nella dieta giornaliera: questo stile
alimentare salverebbe tre milioni di vite
all’anno.
Siamo lontani dall’obiettivo della
Fao. Gli italiani in media consumano solo
451 grammi di frutta e verdure al giorno,
poco più di un quinto della quantità raccomandata,
ma in ogni caso meglio della media
europea, che è di appena 386 grammi.
I danni di un basso consumo di frutta
e verdure sono particolarmente gravi per
i bambini e le donne in maternità, perché
l’apporto di vitamine e micronutrienti è
fondamentale durante la crescita e la gravidanza.
La malnutrizione nei primi anni
di vita causa danni permanenti alla memoria,
alla vista e alle abilità cognitive: 160 milioni
di bambini si trovano in queste condizioni
drammatiche e quasi due miliardi di
persone hanno ritardi cognitivi o disabilità
fi siche più o meno gravi riconducibili a
malnutrizione.
Il costo sanitario della malnutrizione
è enorme, viene stimato – secondo lo
studio per Expo dell’Università Vita Salute
– in 3.500 miliardi di dollari all’anno. Si
calcola che ogni dollaro speso – ma è meglio
dire investito – nel miglioramento della
dieta di un bambino malnutrito dia un
ritorno economico di 30 dollari. Per limitarci
agli Stati Uniti, se ogni americano aggiungesse
una porzione al giorno di frutta
o verdura, la spesa sanitaria Usa scenderebbe
di 5 miliardi di dollari all’anno e si
salverebbero trentamila vite.
Il cluster di Expo mette insieme frutta
e legumi adottando per la parola legumi
un signifi cato allargato a tutte le verdure
(come avviene nella lingua francese).
Per esempio, include nei “legumi” broccoli
e in generale le brassicacee, utili nella
prevenzione dei tumori, e le cipolle, note
per la prevenzione di disturbi cardiocircolatori
e per virtù antiossidanti.
In senso
proprio, però, sono leguminose quelle
verdure i cui semi sono ricchi di proteine
vegetali e carboidrati (zuccheri), non soltanto
di fibre, vitamine e sali minerali. Le
più diff use sono le lenticchie, i fagioli, i ceci,
le fave, i piselli e i semi di soia.
Il pregio nutrizionale dei legumi sta nel
fatto che sono alimenti intermedi tra i cereali
(come riso, grano, mais...), che hanno
un contenuto prevalente di carboidrati,
e la carne, che ha un contenuto prevalente
di proteine.
Nei legumi troviamo in media
un 50 per cento di carboidrati e un 20
per cento di proteine, pressoché la stessa
percentuale della carne. A ciò si aggiunge
un notevole contenuto di vitamine, specialmente
B1, B2, PP e C, e di minerali come
calcio, fosforo e ferro. I ceci, le fave secche
e soprattutto la soia hanno anche una
percentuale notevole di grassi vegetali, che
incidono favorevolmente sul colesterolo
contrastando i grassi animali. Si distingue,
in particolare, la soia, che su 100 grammi di
prodotto mangiabile ha 35 grammi di proteine,
18 grammi di grassi e 31 grammi di
carboidrati.
Dalla soia si può davvero ottenere una “bistecca vegetale”. Giustamente
valorizzati dalla nostra cucina povera tradizionale
sono i fagioli secchi (21 grammi di
proteine, 1,6 di grassi, 57 di carboidrati), le
lenticchie (25 grammi di proteine, 1 grammo
di grassi e 56 grammi di carboidrati) e i
piselli (6,7 grammi di proteine, 0,4 di grassi,
60,5 di carboidrati se freschi; 24,5 di
proteine, 1,1 di grassi e 60,5 di carboidrati
nel caso dei piselli secchi – sempre per 100
grammi di prodotto mangiabile).
Attualmente il consumo medio di legumi
è soltanto di 6-7 chilogrammi per persona
all’anno: c’è un ampio spazio per aumentarlo
a favore della salute collettiva e
di un contenimento della maggior produzione
di carne con annesso impatto ambientale.
Ma si calcola che nel 2050 servirà
un 60 per cento in più di prodotti agricoli,
e per questo sono necessari 70 miliardi di
ettari coltivabili.
In sintesi, la sostenibilità
passa per il regno vegetale e in particolare
per il potenziamento della coltivazione
dei semi di leguminose. È questo il messaggio che dovrebbe entrare nelle politiche
agricole e educative sia dei Paesi sviluppati
sia di quelli in via di sviluppo. Non
sono in gioco solo questioni alimentari,
pure importanti, ma diritti umani da garantire
a tutta la popolazione del Pianeta.
Tornando alla frutta, il cluster di Expo
ne esalta le molte varietà, alcune per noi
ancora relativamente esotiche, altre tradizionali
per la nostra tavola almeno dal
tempo delle esplorazioni transoceaniche.
Vediamo le virtù nutrizionali di alcuni di
questi frutti.
L’albicocca nel nome scientifi co, Prunus
armenica, ricorda le sue origini nel vicino
Oriente. Ha un elevato contenuto di
potassio e carotene (che l’organismo utilizza
per formare la vitamina A) e apporta
le vitamine B1, B2, mentre è quasi priva
di vitamina C. È lievemente lassativa, azione
favorita dalla presenza di un particolare
zucchero, il sorbitolo.
L’ananas trae il nome dalla parola nana,
che nel linguaggio degli antichi indigeni
brasiliani signifi cava “frutto eccellente”.
La varietà più pregiata però viene dalle isole
Hawaii. L’ananas contiene bromelina,
enzima che aiuta la digestione delle proteine:
una fetta di ananas è un ottimo modo
per concludere un pasto a base di carni.
La bromelina non resiste al calore, quindi non la troveremo nelle marmellate né
in torte o altri dolci con ananas che siano
stati cotti in forno. La bromelina dell’Ananas
comosus comprende due forme di enzimi
proteolitici utilizzati in farmaci antinfi
ammatori e antiedematosi nonché contro
le dispepsie.
È dimostrata un’attività antitrombotica
e antitumorale. Tra gli usi industriali,
l’intenerimento delle carni in scatola
e la chiarifi cazione della birra.
La papaia, Papaya carica, frutto originario
della Malesia ma diff uso in Africa e in
Brasile, contiene una sostanza proteolitica,
la papaina, simile alla bromelina. Anch’essa
agevola la digestione e ha gli stessi usi industriali.
La papaia fornisce buone quantità
di vitamine idrosolubili (B1, B2, PP, C), di
antiossidanti e di potassio, fosforo e ferro.
La mela è tra i frutti più diff usi nel mondo,
peccato che la produzione su scala industriale
ne abbia fatto perdere la biodiversità,
ben documentata anche su un piccolo
territorio italiano dal “Museo della frutta”
che si trova a Torino presso il Museo universitario
di Anatomia. Le mele danno un
apporto moderato ma equilibrato di vitamine,
sono abbastanza ricche di potassio
e soprattutto di fi bra. Fitosteroli e pectina
possono renderle di non facile digestione,
mentre sono raccomandabili nella cura di
malattie gastrointestinali di tipo diarroico.
La composizione della pera è vicina
a quella della mela. Frutto coltivato fi n
dall’antichità – i romani ne selezionarono
41 specie – nasconde nella buccia una
quantità di vitamine da 2 a 5 volte maggiore
rispetto alla polpa. Buono l’apporto di
potassio e di fosforo. Con un gusto che ricorda
la pera, il mango, Mangifera indica, è
coltivato in tutte le regioni tropicali.
La sua
polpa è ricca di fi bre, vitamina C, carotenoidi
e in generale di sostanza antiossidanti.
Notevoli gli Omega3 in funzione anti-colesterolo.
Il triterpene del mango inibisce il
cancro della prostata.
Grande rilievo meriterebbero gli agrumi
– arancia, limone, pompelmo, mandarino…
– tutti ricchi di vitamina C, ma sono
troppo noti per parlarne qui. Stesso
discorso per la banana, buona riserva di
potassio e di vitamina B6, che favorisce il
metabolismo delle proteine. Da segnalare,
invece, per l’alto contenuto di grassi,
è l’avocado, Persea americana Mill, originario
dell’America Centrale. La polpa, dalla
consistenza burrosa, ci fa subito intuire
che si tratta di un frutto alquanto calorico.
Contiene potassio e una discreta quantità
di vitamina C e di betacarotene. Nell’avocado
c’è però anche un acido grasso detto
persina, tossico per varie specie animali,
innocuo per l’uomo.