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sabato 14 settembre 2024
 
 

Più "ricchi" senza slot

10/03/2014  L'economista Leonardo Becchetti spiega i vantaggi di cui godrebbe lo Stato se gli italiani giocassero di meno

«Lo Stato guadagnerebbe di più senza le slot machine». L’economista Leonardo Becchetti, cifre alla mano, dimostra il vantaggio economico che il nostro erario avrebbe se la gente giocasse di meno. Tra gli ideatori della campagna slotmob, Becchetti, docente di economia politica all’Università di Tor Vergata, spiega che non è solo etico, ma anche economicamente vantaggioso liberarsi dal gioco, anche da quello legale. Innanzitutto perché si eviterebbero i danni sociali del gioco quantificati in svariate centinaia di miliardi e poi per la contrazione dei consumi. Partiti quasi in sordina a settembre, a Biella, con «una cosa un po’ goliardica», spiega Becchetti, un gruppo di ragazzi ha lanciato l’iniziativa di andare a fare colazione solo nei bar che non avevano le macchinette. «Da quel momento le iniziative si sono moltiplicate a valanga in tutta Italia, da Palermo a Brescia, a Cagliari. E hanno coinvolto anche gli amministratori locali, con oltre 50 azioni di slotmob». Tutto ciò ha dato forza, «ci hanno spiegato gli stessi sindaci, assessori, amministratori a chi pensava di non farcela da solo a prendere decisioni, nell’interesse della collettività, sulle slot machine. Visto però il consenso popolare, i politici locali si sono svegliati e, dalla Regione Lombardia a quella del Friuli Venezia Giulia, alla provincia di Bolzano hanno cominciato a legiferare in materia». Finché, a livello nazionale, un gruppo di cento parlamentari capitanati dalla senatrice Chiavaroli, hanno «tirato fuori una proposta di legge sostenendo che l’erario aveva una perdita dalla dismissione delle slot machine e dunque, gli amministratori che avevano “liberato” i loro comuni dal gioco dovevano versare il “danno”». Ma appunto, a parte il costo sociale, l’economista sostiene che «bisogna sapere cosa quella persona che gioca avrebbe fatto con i soldi che ha perso. La propensione al consumo ci dice che il 90 per cento di quei soldi sarebbero stati spesi in beni di consumo. L’Iva media sui consumi è attorno al 10/15 per cento. L’Iva media sul gioco si ferma al 6 per cento. I conti sono presto fatti: il gioco, anche quello legale, per lo  Stato si traduce in una perdita secca di entrate».

 
 
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