Se ci soffermiamo sulla situazione dei cristiani in Terra Santa, negli ultimi tempi non si riscontrano grosse novità: c’è chi, con una buona formazione culturale e professionale, emigra in cerca di un futuro migliore; altri restano, incoraggiati e assistiti dalle istituzioni della Chiesa locale.
Se allarghiamo lo sguardo a tutto il Medio Oriente, gli stravolgimenti in corso invece sono molti ed evidenti: i vecchi equilibri sono saltati e in questa fase di travaglio se ne stanno preparando di nuovi. La tragedia della Siria è forse proprio il segno di questo. Nelle crisi dei sistemi politici e nelle turbolenze interne all’islam, la sorte dei cristiani finisce per essere la cartina di tornasole che segnala il doloroso processo in corso. Sulla componente più fragile si scaricano tutte le tensioni. La crisi di identità del mondo musulmano è evidente in Siria, in Egitto, in Iraq e altrove. Il fondamentalismo, che propone risposte semplici a problemi complessi, non fa che mettere in piena luce lo smarrimento dell’islam contemporaneo.
In un simile contesto, ai cristiani mediorientali non restano che due alternative: partire o restare. Andarsene è tutto sommato l’opzione più semplice. Rimanere è una scelta importante, anche perché occorre farla senza rimpiangere un passato che non tornerà. Implica il voler prendere parte ai cambiamenti lasciandosi alle spalle una fase storica in cui si badava più a proteggere la propria comunità che ad affermare l’uguaglianza dei diritti di tutti e il loro rispetto. Propugnare il pieno riconoscimento dei diritti di cittadinanza è un contributo importante che i cristiani possono offrire alle loro nazioni.