E’ il 1974. José Plácido Domingo Embil, universalmente noto come Plácido Domingo, di professione tenore, ha solo 33 anni, ma è già affermatissimo a livello mondiale. Il Teatro alla Scala, dove ha debuttato nel 1969, lo scrittura come protagonista di Tosca e di Carmen. Le recite sono naturalmente distanziate. Ma, la sera successiva ad una Tosca da lui interpretata, il tenore che dovrebbe cantare Don Josè nel capolavoro di Bizet dà forfait. Il turno è quello dedicato a Giovani, Studenti e Lavoratori, secondo una formula inventata da Paolo Grassi (sovrintendente) e Silvestro Severgnini (responsabile del Servizio Promozione culturale).
Domingo non ha esitazioni: e sotto la direzione dell’immenso George Prêtre canta anche in Carmen. Il commento è unanime: generoso, straordinario, ma non durerà certo molto tempo, abusando della voce in questo modo.
Pochi giorni fa Domingo è tornato alla Scala: ha festeggiato con l’orchestra e con le maestranze il suo 45° anno dal debutto in Teatro. Lo ha fatto a modo suo: cantando da baritono come protagonista nel Simon Boccanegra di Verdi diretto da Daniel Barenboim. Chissà se gli sono giunte alle orecchie le voci delle cassandre di un tempo. Se è successo ne avrà riso, con la delicatezza, l’eleganza ed il sorriso di sempre.
Domingo canta oggi da baritono: la sua presenza scenica e vocale nell’episodio del Gran Consiglio è impressionante, così come nel finale. Forse perché Simon Boccanegra si adatta a quel suo spirito nobile, generoso. “Ma se anche cantasse nel ruolo di Rosina del Barbiere di Siviglia, io lo vorrei dirigere”, ha detto recentemente Daniele Gatti: “non posso perdermi l’occasione di una esperienza con un cantante come Domingo”.
Nato a Madrid, il 21 gennaio 1941, votato nel 2008 tenore del secolo dall’inglese Music Magazine, musicista a tutto tondo, direttore d’orchestra, organizzatore, attore, talent scout con una giovinezza da portiere di calcio e la tentazione di fermarsi lì, sul rettangolo verde: Domingo non finisce mai di stupire il suo pubblico. Ha ricoperto fra palcoscenico e dischi 130 ruoli: “ma la stessa persona in palcoscenico è diversa da una recita all’altra, è la magia che rende l’opera unica”, disse una volta.
Quattro anni fa, dopo poche settimane da un intervento chirurgico al colon subito negli Stati Uniti dove vive, tornò alla Scala proprio come protagonista del Simon Boccanegra. Disse: “Potrebbe anche essere l’ultima cosa che faccio, ma chi lo sa? Certo non voglio cantare un giorno in più di quanto mi sarà dato di fare. Ma nemmeno un giorno in meno!”. Per ora quel giorno è molto lontano. E se ormai appartiene al passato il successo mondiale nell’ormai storico Concerto dei 3 tenori (con lo scomparso Luciano Pavarotti e José Carreras) alle Terme di Caracalla a Roma nel 1990, è calato nel suo presente il Concorso lirico internazionale Operalia, da lui ideato per scoprire, premiare e aiutare i giovani cantanti d’opera del nostro tempo.
Né va taciuto il suo amore per la canzone: nel 2008 ha presentato Amore infinito, una raccolta di brani ispirati alle poesie di Karol Wojtyła (vedi Fc. 48/2008). La sua carriera ormai leggendaria è cominciata con la zarzuela, ovvero l’operetta spagnola, della quale la madre soprano ed il padre violinista e baritono erano interpreti. Trasferitisi in Messico, vi continuarono la loro attività: ed il piccolo Plácido fece pratica con un genere e con un mondo che gli permisero di suonare, arrangiare musica, accompagnare i cantanti e fare piccole parti in palcoscenico. Preludio alla scelta definitiva che lo ha portato ad un percorso nel quale molto ha contato la moglie, che lo affianca da 47 anni. Un percorso ripagato dai trionfi in tutto il mondo: compreso un Otello a Vienna nel 1991, entrato nel Guinness dei primati per gli 80 minuti di applausi e le 101 chiamate al sipario. Il segreto? E’ racchiuso in questa sua frase: “Io ho sempre messo davanti a tutto il cuore!”.