Chi sono oggi i Pooh? A vederli seduti
attorno a un tavolo negli studi di Tamata,
il loro quartier generale alla
periferia di Milano, Roby Facchinetti,
Dodi Battaglia e Red Canzian sono tre
amici che si divertono a ricordare le mille avventure
vissute insieme. Ma sono anche tre
musicisti orgogliosi di aver realizzato un disco,
Dove comincia il sole, che segna una netta
svolta rispetto alla loro ultima produzione.
Un disco che recupera le atmosfere dilatate
di lavori storici degli anni ’70 come Parsifal,
arricchite da inedite sonorità rock.
Per comprendere chi sono questi tre sessantenni
che si sentono come «una band di
ragazzini» (parola di Dodi), forse è utile usare
come chiave di lettura il loro rapporto con
tre batteristi a cui è legata la loro storia, partendo
da Stefano D’Orazio, che li ha lasciati
nel 2008, dopo 38 anni. Red: «Già tre anni fa
ci aveva manifestato la volontà di chiudere.
Speravamo gli passasse e invece non è andata
così. Abbiamo avuto un po’ di sbandamento,
poi abbiamo capito che dopo tanti anni
fra noi c’è ancora un affetto vero».
Roby: «Subito dopo è iniziata la sfida con
noi stessi come musicisti: ci siamo chiesti se
avevamo ancora qualcosa da dire. Abbiamo
capito che dovevamo ripartire da zero». Dodi:
«Siamo prima di tutto tre musicisti che trovano
la loromassima realizzazione sul palco.
Abbiamo quindi composto le nuove canzoni
come una band che suona dalla mattina alla
sera, in modo molto istintivo».
Ad accompagnarli in questa nuova avventura
c’è Steve Ferrone: classe 1950, inglese
d’origine ma americano d’adozione, ha suonato
con grandi nomi del rock mondiale.
Che c’entra con i Pooh? Red: «Cercavamo un
batterista che ci desse una scossa d’energia.
Così gli abbiamo inviato una e-mail che sembrava
la letterina di un bambino: “Caro Steve,
siamo un gruppo italiano di nome Pooh
e ci piacerebbe fare un disco con te”. Lui ci
ha subito risposto. Ci conosceva perché aveva
visto i manifesti dei nostri concerti tutte le
volte che era stato in Italia. Ha rischiato di diventare
il nostro batterista già 40 anni fa».
L’impegno di Ferrone per ora è limitato al
disco e al tour che partirà il 23 novembre.
Red: «Se il prossimo disco vogliamo farlo con
un’orchestra sinfonica o con dei mandolinisti
bulgari, che ce ne facciamo di uno come
Steve? Vogliamo sentirci totalmente liberi».
E veniamo al terzo batterista, il meno conosciuto
ma il più importante perché, con Roby,
fu fra i fondatori del gruppo nel 1966: Valerio
Negrini. Cinque anni dopo, decise di lasciare
il posto a D’Orazio, ma continuò a firmare
quasi tutti i testi dei Pooh, cosa che ha fatto
anche nell’ultimo disco. Di tornare sul palco,
però, non se ne parla. Roby: «Ha suonato l’ultima
volta con noi in alcuni concerti 18 anni
fa, ma non ama stare sotto i riflettori».
Red: «Valerio è un vero intellettuale, ha
una cultura spaventosa. Ma è anche totalmente
asociale: è uno che ama starsene chiuso
in casa con i suoi libri. E poi è un vero disastro:
una volta si è rotto un dito giocando a
tombola, chissà cosa potrebbe combinare su
un palco con una batteria...». Roby: «Vi ricordate
quando in vacanza al mare l’abbiamo
convinto a mettere per la prima volta in vita
sua la testa sott’acqua? Quando la tirò fuori,
una medusa gli penzolava da un occhio...».
I tre scoppiano a ridere fino alle lacrime. E
se si domanda loro come si immaginano fra
dieci anni, Red risponde pronto: «Speriamo
di riuscire a emulare i nostri amici Raimondo
Vianello e Sandra Mondaini, che fino a
quando hanno potuto hanno continuato a fare
il loro lavoro». Roby: «Invece di Casa Vianello,
potremmo fare Casa Pooh». Red: «Però
i calci sotto le coperte li darai tu! Io, al massimo,
leggerò la Gazzetta dello sport».