È il 26 marzo 1967. È Pasqua e Paolo VI consegna il testo della Populorum progressio, la grande enciclica sociale con cui denuncia «lo scandalo di disuguaglianze clamorose». Il Papa scrive con grande libertà intellettuale e non usa mezzi termini: «La proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto».
Le sue parole sono vibranti e commosse: «I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La Chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia». Non intervenire significherà affrontare «la collera dei poveri». Paolo VI scrive in un mondo segnato da profonde disuguaglianze e trasformazioni.
L’Europa aveva compiuto la ricostruzione dopo la guerra, dividendosi lungo la Cortina di ferro e il processo di integrazione a Ovest si sviluppava in parallelo al superamento del sistema coloniale.
I Paesi africani, da poco indipendenti, affrontavano la sfida della povertà, ricevendo aiuti dagli ex colonizzatori, ma dovendo competere commercialmente con loro nel mercato internazionale, scontando il prezzo del ritardo tecnologico e della debolezza politica negli accordi commerciali.
Il tema dello sviluppo entrava nel dibattito internazionale e Paolo VI lo pone al centro dell’impegno della Chiesa e della dottrina sociale. Nata nel 1891 con la Rerum novarum di Leone XIII, sulla questione operaia, questa si era sviluppata anche sul tema della pace con i Radiomessaggi di Pio XII e la Pacem in Terris del 1963 di Giovanni XXIII.
Con la Populorum Paolo VI unisce i due percorsi, afferma che «lo sviluppo è il nuovo nome della pace» e chiama alla responsabilità cristiani e laici. Quell’appello ha inuenzato politiche pubbliche e azioni della società civile in tutto il mondo. Sono nati programmi come gli “Obiettivi di sviluppo del millennio” dell’Onu che hanno permesso di migliorare sensibilmente le condizioni di vita in diverse aree del pianeta.
Ma molte «disuguaglianze clamorose» sono purtroppo ancora presenti. Sono risolvibili solo in un contesto di relazioni solidali in cui tutti partecipano con protagonismo e pari dignità culturale e politica. Proprio qui sta la straordinaria modernità dell’appello di Montini, in un contesto come quello attuale segnato da paure e pregiudizi che parlano alla pancia delle persone, anziché alle loro intelligenze e ai loro cuori. È un appello che chiede tuttora assunzione di responsabilità a tutti i cittadini del pianeta