Lo storico gesuita Giovanni Sale.
«La presa di Porta Pia va considerata non come un evento episodico della nostra storia nazionale, ma va letto all’interno di una dinamica storica più generale, che ha coinvolto diverse potenze», spiega padre Giovanni Sale, gesuita, docente di Storia contemporanea all’Università Gregoriana, autore di un articolo sull’ultimo numero di Civiltà Cattolica sull’argomento, contenente anche materiali inediti. «Gli eventi militari e politici che si sono svolti in questo periodo hanno aperto una nuova fase nella storia politica ed economica dell’Europa e del mondo e cioè la sconfitta e la caduta del regime imperiale di Napoleone III, la formazione di uno Stato unitario tedesco sotto l’egida della Prussia e infine il completamento, con l’occupazione di Roma del processo di unificazione della Penisola, Furono eventi che modificarono profondamente l’assetto politico-istituzionale dell’Europa del tempo. Nel 1870 finiva il predominio politico e culturale della Francia sul continente e un nuova entità statale, la Germania, si affermava nel cuore dell’Europa».
Quali furono le conseguenze per la Chiesa italiana?
«La soppressione dello Stato Pontificio, oltre che segnare la fine di un’entità statale molto antica che aveva la finalità di garantire la libertà e l’indipendenza del pontefice dalle autorità secolari, ebbe notevoli ripercussioni per molti cattolici in Europa sul piano non solo spirituale, ma anche politico. Per quanto riguarda l’Italia, esso allontanò i cattolici dalla vita politica nazionale, impoverendo così le basi di consenso del nuovo Stato nazionale. Situazione che fu sanata soltanto con il Concordato del 1929».
E’ vero che Pio IX credette fino all’ultimo che il re d’Italia non avrebbe osato con il suo esercito violare l’urbe?
«Pare di sì. Egli infatti già in passato aveva considerato la sconfitta dei garibaldini a Mentana nel 1867 (intenzionati a prendere con la forza la città di Roma) da parte dell’esercito franco-pontificio come un chiaro segno di benevolenza divina nei confronti della conservazione del potere temporale. Si racconta che il Papa - alla continua ricerca di segni celesti - avesse visto in sogno (una certa letteratura devozionale parla di una visione) i santi Pietro e Paolo che bloccavano l’entrata degli armati italiani nella Città Eterna. Pio IX, di temperamento impressionabile, si faceva molto suggestionare da fatti di questo tipo! A tale riguardo, infatti, aveva fatto interpellare alcuni veggenti che avevano fama di santità, che gli garantirono (naturalmente!) che gli «italiani» non sarebbero entrati a Roma».
Nel suo articolo su Civiltà Cattolica lei riporta un documento piuttosto interessante, che contribuisce a far luce su quelle ore concitate che precedettero le cannonate dei bersaglieri: un memoriale relativo al colloquio con il papa dell’inviato del re d’Italia…
«Il conte, senatore Ponza di san Martino - che aveva un fratello gesuita (a quel tempo rettore del nobile collegio di Mondragone) - fu inviato da Vittorio Emanuele II per convincere il Papa a “farsi spogliare del proprio Stato” senza opporre nessun tipo di resistenza. In cambio il Regno d’Italia –assicurava l’ambasciatore - avrebbe assicurato al Papa la dignità che gli è propria «la inviolabilità e tutte le altre prerogative della sovranità». Oltre che il riconoscimento della «piena giurisdizione» sulla Città leonina, dove il Papa di si era rifugiato. Il Ponza da canto suo nell’udienza con Pio IX, cercò in tutti i modi di scusare il proprio re, affermando che questi era costretto a occupare Roma dalla volontà di 24 milioni di sudditi. A questa dichiarazione il Papa rispose prontamente: «Dite quattro, quattro milioni vi accordo, giacché 20 milioni sono per me». In questa affermazione Pio IX anticipa, in modo esplicito e chiaro, ciò che la storiografia cattolica, e non soltanto, ha ripetuto per quasi un secolo: l’unità d’Italia fu un fatto che riguardò soprattutto le élite liberali e censitarie della nazione, ma non fu un fatto di popolo. Dalle parole del Papa si evince chiaramente che l’occupazione della città eterna da parte dell’esercito italiano sarebbe stata accolta da molti cattolici come un gesto sacrilego, e che nella nuova Italia ciò avrebbe contribuito, come di fatto accadde, ad allargare la distanza tra Paese legale e Paese reale».
Come visse quelle ore Pio IX?
«Rassegnato agli eventi e in preghiera. Egli era agitato da diversi sentimenti e pensieri. Secondo alcune testimonianze aveva il terrore che il Cupolone potesse cadere in seguito ai cannoneggiamenti. Pio IX, per il suo carattere bonario e semplice, era molto amato dai romani. Spesso, negli anni precedente, di pomeriggio, insieme ai suoi più stretti assistenti, faceva delle passeggiate a piedi per la città e a volte si fermava per ascoltare le suppliche dei suoi sudditi. Non erano, inoltre infrequenti le visite a santuari cittadini o a semplici cappelle di piazza».
Qual era l’atmosfera a Roma e dintorni?
«I romani manifestarono al Papa in quelle tragiche giornate grande affetto e vicinanza: il pomeriggio del 10 settembre si recò a Termini per l’inaugurazione dell’acqua Pia «e un immenso numero di popolo – scrisse un testimone oculare - lo precedette ad acclamarlo». Fu un vero trionfo e un continuo agitarsi di fazzoletti bianchi». Eppure il plebiscito del 2 ottobre 1870 diede una schiacciante maggioranza alla proposta di annessione di Roma al Regno d’Italia: i sì furono 40.835 e i no appena 46. Questo risultato non è in contraddizione con quanto abbiamo appena detto sull’affetto che il popolo romano nutriva per Pio IX; ma semplicemente sta a indicare che all’interno della città di Roma esisteva una forte frattura tra il popolo minuto, fedele al Papa (e che in maggioranza non votò), e la borghesia censitaria e l’aristocrazia «illuminata», che si schierarono compatte per l’annessione».
Che parte ebbe la massoneria in questa faccenda?
«In queste vicende la massoneria, sostenuta dall’Inghilterra, ebbe un ruolo importante, ma non decisivo. Furono le contingenze politiche internazionali, in particolate la guerra tra la Francia a la Germania, che resero possibile l’ingresso dei bersaglieri italiani a Porta Pia. La resistenza che gli zuavi pontifici posero all’esercito italiano fu forse, come è stato detto, troppo energica per essere semplicemente dimostrativa (morirono infatti 70 soldati di ambedue gli schieramenti) come Pio XI avrebbe voluto, e allo stesso tempo troppo disorganica e debole per essere efficace. L’astuto Segretario di Stato, card. Antonelli, in questa delicata situazione optò verso la politica del «tanto peggio tanto meglio», per far valere poi davanti alle Potenze cattoliche il fatto concreto della violenza subita e l’evidente ingiustizia patita dalla Santa Sede a motivo dell’occupazione del suo Stato. Il Papa il 1° novembre di quell’anno emanò, poi, l’enciclica Respicientes, con la quale la conquista italiana della Città Eterna veniva definita sacrilega, ingiusta e invalida e comminava la scomunica a tutti coloro che vi avevano aderito, compreso il re d’Italia.
Come reagì alla scomunica Vittorio Emanuele II?
Fu molto turbato della sanzione ecclesiastica (che lo escludeva dai sacramenti della Chiesa) comminata anche contro la sua persona. Da quel momento fino alla morte fece di tutto per essere sollevato dalla censura. L’estrema unzione che ottenne prima di morire lo ripacifico con la Chiesa.
E’ vero che l’allora pro segretario di Stato Montini disse che la presa di Porta Pia era stata in qualche modo provvidenziale?
«A 150 anni dalle vicende di Porta Pia le parole del cardinale Giovan Battista Montini, il futuro Paolo VI, pronunciate in occasione della sua prima visita al Campidoglio, assumono sempre di più un valore profetico: veramente la perdita del potere temporale da parte dei Papi si rivelò come una benedizione per la Chiesa. Lo avevano già compreso i pontefici del Novecento a partire da Pio X, che rivendicarono soltanto «un piccolo territorio» capace di assicurare l’indipendenza e la libertà, del Papa nell’esercizio del suo ministero. A partire da questo momento il Papa, spogliato da ogni potere e ambizione temporale, fu sempre di più percepito dagli stessi cattolici come pastore spirituale, come modello di santità e come il supremo garante della dottrina e della comunione nella Chiesa».