Un "manifesto degli introversi" scritto da una donna introversa è tutt'altro che un'ovvietà. Perché l'americana Susan Cain, autrice di Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare (Bompiani), ha usato sei anni di ricerche e le riflessioni di tutta la propria vita adulta per arrivare a questo saggio che negli Usa ha avuto la copertina di Time, è diventato un caso editoriale, sta influenzando l'impostazione pedagogica in diverse scuole e ha generato un sito, www.thepowerofintroverts.com. Prima di essere tradotto in 17 Paesi, tra i quali il nostro.
Susan Cain era già un'introversa di successo prima di diventare un nome nel dibattito di idee Oltreoceano, dibattito accessibile a un pubblico ampio perché Quiet è sì documentato e articolato (il contrario dei manuali di self-help americani, per intenderci), ma scritto con chiarezza esemplare e numerosi casi personali, a partire da quello dell'autrice. 44 anni, aspetto gradevole, sposata con un estroverso e madre di due figli, ha lavorato per anni come avvocato e consulente legale a Wall Street. Non è arrivata e non arriverà alla Corte Suprema, ma nei suoi anni in giurisprudenza è riuscita appunto a sfruttare "il potere degli introversi". Adesso ha lasciato quel lavoro e si dedica a ciò che le interessa veramente: «Mio marito e i nostri figli; scrivere; promuovere i valori di questo libro».
Come spiega bene l'autrice, l'introversione non è misantropia e non è per forza timidezza (anche se le due caratteristiche possono sovrapporsi spesso). Da timida più o meno cronica, ricorda nel libro che «alle superiori, al college e da giovane avvocato, cercavo sempre di mostrarmi più estroversa e meno testa d'uovo di quanto fossi in realtà». Perché? Perchè in America, e anche in Europa, vige l'"ideale dell'estroversione", anche se si calcola che tra il 30 e il 50 per cento degli americani siano introversi. È una costruzione che ha motivi storici, economici e culturali. Per esempio, nelle culture asiatiche non è così. La "tempesta perfetta" per la dittatura degli estroversi, spiega l'autrice, si verificò nell'America di inizi '900, quando boom industriale, urbanizzazione e immigrazione favorirono i tipi umani capaci di vendere merci e di mettersi in buona luce.
Nel ricordare il proprio panico, alcuni anni fa, prima di tenere un seminario a un gruppo di dirigenti, l'autrice sottolinea: «Da allora ne ho tenuto parecchi, di discorsi. Anche se non ho superato del tutto la mia ansia, negli anni ho scoperto diversi accorgimenti utili a chiunque soffra di "paura del palcoscenico" e debba parlare di fronte a una tribuna». Ma Susan Cain ha fatto di più. Ha letto saggi classici (a partire dalla primaria distinzione di Jung tra estroversi e introversi) e le ricerche psicologiche e neurofisiologiche più avanzate, ha interrogato neuroscienziati per capire quanto le timidezze siano innate, influenzate dall'ambiente, modificabili con la volontà.
Mostrando come molti introversi siano in realtà "altamente sensibili" (definizione scientifica, non morale) a stimoli che sugli estroversi agiscono in modo diverso. E siccome Susan Cain si pone le domande in modo veramente laico, trova il modo di puntualizzare che «gli introversi non sono più intelligenti degli estroversi» e che non mira a «denigrare gli impetuosi e i decisionisti né a glorificare ciecamente i riflessivi e i meticolosi... è necessario invece trovare il giusto equilibrio tra azione e riflessione». Per citare un grande introverso come Albert Einstein: «Non sono poi così intelligente. È che mi applico più degli altri». Ecco, Einstein forse esagerava in understatement...
Il primo caso citato da Susan Cain per dimostrare il potere degli introversi riguarda proprio lei: nel corso di una trattativa legale complessa e agguerrita, il suo stile pacato e riflessivo (che aveva sviluppato per l'incapacità di intervenire di continuo, parlare sopra gli altri e ribattere prontamente) condusse a un esito soddisfacente per tutti. Certo, Susan si era preparata moltissimo, conoscendo i propri "limiti". Ma l'esperienza personale le ha offerto lo spunto per presentare leader introversi e vincenti come Bill Gates e l'uomo d'affari Warren Buffet, personalità politiche di primissimo ordine come Abramo Lincoln, Eleanor Roosevelt, Al Gore e Gandhi, oltre a tanti artisti per i quali, però, l'immersione e la chiusura nei propri mondi interiori è ammessa anche dal sentire comune.
Potere e affari sono, dunque, aperti agli introversi? Sì, visto che sia Obama sia Romney vengono presentati dalla Cain come tali (Clinton no, è il paradigma dell'estroversione, e infatti gli americani lo amano ancora moltissimo). Citando la teoria di Adam Grant, docente di Economia aziendale, «i leader estroversi migliorano la performance di gruppo quando i sottoposti sono passivi, mentre quelli introversi sono più efficaci nel guidare individui propositivi». Quanto alla crisi di Wall Street del 2008, c'è chi sostiene che negli ultimi vent'anni lì le decisioni fossero troppo concentrate nelle mani di persone molto propense al rischio, all'azione, al disprezzo di incertezze e ponderatezze: «Sono stati individui con un certo tipo di personalità a prendere il controllo dei capitali, delle istituzioni e del potere, mentre le persone più congenitamente caute e introverse, più portate a ragionare affidandosi alle cifre, venivano sbeffeggiate e messe ai margini».
Come afferma Susan Cain nei 16 punti del suo "Manifesto degli introversi": «La nostra cultura ammira giustamente chi sa rischiare. Ma ora, più che mai, abbiamo bisogno di chi sa riflettere┌, oppure, in un brano di Quiet: La nostra venerazione per lo status "alfa" ci impedisce di vedere tante cose buone, belle, intelligenti e sagge». Soprattutto se viene applicata ai bambini: «La verità è che molte scuole sono a misura di estroverso», mentre «dovremmo concentrare lo sguardo sui bambini introversi, i cui talenti vengono spesso soffocati, a casa, a scuola, al parco». Magari cresceranno convinti di essere sbagliati, mentre, semplicemente, non è così.
Ci sono moltissime varianti di introversi ed estroversi e Susan Cain, studiosa mai banale ma anche "investigatrice del reale", ha intervistato, verificato, viaggiato per gli Stati Uniti. Ha visitato la prestigiosissima Harvard Business School, definita da un suo laureato "la capitale spirituale dell'estroversione", e frequentato un seminario per persone sensibili per concludere: «Vi dico la verità. Sono profondamente convinta che si dovrebbe garantire ai tipi sensibili tutta la tranquillità di cui hanno bisogno, ma mi piacciono anche le persone espansive e disinvolte». Con il suo «spasmodico bisogno di equilibrio», insomma, la Cain ha condensato in Quiet un viaggio nelle personalità umane e nelle nostre società che possiamo considerare a un tempo profondo e liberatorio.