Quello del libero professionista, fino a poco tempo fa, era il nobile mestiere per definizione: medico, avvocato, giornalista, ingegnere, architetto, commercialista. Il padre ti diceva: studia, così diventerai un libero professionista. Mamma e nonna speravano tanto che le loro figlie e nipoti ne sposassero uno. Era simbolo di benessere, secolare rappresentante di un'Italia che si faceva valere. Era la borghesia mercantile e produttiva declinata in tanti settori, fino ai fotografi, agli informatici, ai programmatori, agli operai specializzati, ai cosiddetti "freelance" della civiltà postmoderna e postfordista. Nell'età dell'oro (si fa per dire) berlusconiana erano diventati quasi un mito, simbolo della libertà e dell'ingegno italico, avanguardia del "corpaccione" del ceto medio, come lo chiama De Rita. E intanto, sotto la crosta del mito, declinavano senza accorgersene, o quantomeno senza che se ne accorgessero gli italiani, come in preda a una malattia silenziosa, asintomatica e micidiale. Dal Centrodestra al Centrosinistra, passando per il governo Monti, non è rimasto che dare il colpo di grazia.
In realtà lo Stato non li ha mai amati, forse perché ha sempre sospettato che evadessero le tasse. Senza peraltro far mai nulla per farle pagare a chi le evadeva davvero. Così i furbi hanno prosperato e gli onesti sono crollati sotto il peso dei primi. Con loro lo Stato si limitava ad affondare il coltello fiscale nel burro, senza proteggerli dalla concorrenza sleale degli evasori che avevano più risorse, più benefici, più opportunità e diventavano più competitivi. Fatto sta che nel 2014, dopo sette anni di cirisi, tasse, adempimenti, finanziarie e contributi vari, la situazione è speculare a quella dei working poor, i lavoratori che lavorano e rimangono indigenti per l'eseguità del salario (meno di 7 euro all'ora). Se sono manager, perdono il posto, se hanno uno studio si vedono calare il fatturato, oppressi dalla crisi e dalla palla al piede fiscale, se hanno investito la liquidazione in un'attività, si vedono costretti a chiuderla.
Le cifre relative a questo esercito in rotta di due milioni di persone, giovani e vecchi, sono impietose. Nel 2015 il reddito medio dei professionisti italiani si fermerà sotto i 30 mila euro, dopo aver perso un quarto dei guadagni dal 2008. Per loro, anche se guadagnano meno di 1.500 euro al mese, niente bonus, niente pensione minima, calcolo contributivo anziché retributivo (e quindi dipendente dai ricavi della loro attività, sempre più in ribasso). Ah, domenticavamo: il governo Renzi, per non far loro mancare niente, ha provveduto anche ad aumentare la tassazione delle pensioni integrative. Se sono iscritti a una gestione separata, dovranno versare contributi Inps fino al 33 per cento. E se sono anche lavoratori dipendenti (medici che arrotondano con l'ambulatorio privato, avvocati, ingegneri, architetti che hanno un lavoro in un'azienda ma fanno consulenze) non potranno più godere del cosiddetto regime di minimi introdotto da Prodi e Padoa Schioppa (fino a 30 mila euro). Così che i conti son presto fatti: per cento euro guadagnati da un professionista che guadagna oltre 75 mila euro da redditi da lavoratore dipendente, 33 andranno all'Inps e 43 allo Stato sotto forma di tasse. In tasca gliene rimangono 24, meno di un quarto. Ma chi glielo fa fare? Pensare che erano loro il volano dell'economia. E che hanno studiato tanto, per farsi una posizione...