Sono tanti i fattori che incidono sulle abitudini alimentari di tutti noi e, a maggior ragione, delle persone anziane. La crisi, la solitudine, il borsellino spesso vuoto perché magari bisogna sostenere una spesa imprevista. A cui bisogna aggiungere elementi di tipo culturale, di estrazione sociale, di salute ed autonomia di vita che, tutti insieme, fanno sentire le conseguenze anche a tavola.
L’Auser, lo Spi Cgil e la Fondazione Di Vittorio, hanno messo il naso nel piatto degli anziani per esaminare cosa e come mangiano, quali sono le loro abitudini, attraverso un’ampia ricerca, con oltre 11.000 questionari distribuiti in tutte le regioni presso i centri sociali, le sedi sindacali, i servizi fiscali e di consulenza. 7241 sono stati i questionari analizzati e i risultati di questa ampia indagine sono stati presentati a Firenze venerdì 14 ottobre scorso, nell’ambito dell’ottava edizione della città che apprende.
Il profilo degli intervistati
Sono sposati e con basso reddito, hanno un’età media tra i 69-70 anni. Il 37.1% è in possesso della licenza media o avviamento professionale, il 28.2% ha la sola licenza elementare, il 27,2% è diplomato, i laureati sono il 6% mentre non hanno alcun titolo di studio il 4,5% degli intervistati. Tra gli intervistati prevalgono le persone coniugate (63,9%), seguono vedovi e vedove per il 22,2%, celibi o nubili per il 7,2% e separato o divorziati per il 6,7%. La maggioranza – quasi il 49% - vive in coppia con il proprio coniuge, le persone che vivono da sole sono il 26,8%.
Hanno un reddito da pensione tra i 500 e gli 800 euro il 25,6% degli intervistati. Nella fascia tra gli 800 e i 1200 euro si colloca il 29,25 degli intervistati. Una pensione media fra i 1200 e i 1500 euro interessa il 21,7% , marginali i numeri di quelli che hanno una pensione che supera i 2000 euro.
Frutta fresca, pane e verdure
Fra gli alimenti di gran lunga preferiti dalle persone anziane e utilizzati con frequenza giornaliera, figurano frutta fresca e pane (per circa l’85% degli intervistati), seguiti da ortaggi e verdura, cereali e derivati, latte e yogurt (per circa due terzi delle risposte). I prodotti a base di cereali figurano nelle diete quotidiane di oltre la metà delle persone intervistate (52,4%), i formaggi nel 19,5%, le carni trasformate sono presenti in misura maggiore di quelle fresche (9,8% contro il 9%).
Difficile rinunciare a un bicchiere di vino rosso durante i pasti, infatti le bevande alcoliche sono assunte quotidianamente dal 41% degli anziani intervistati. Pesce e uova sono consumati raramente tutti i giorni, la percentuale si abbassa al 4-6% degli intervistati, mentre porzioni quotidiane di legumi sono segnalate dal 7,5% degli anziani. Questi ultimi gruppi di alimenti sono largamente presenti nella dieta settimanale con percentuali comprese tra l’85% e il 90%.
Le differenze regionali
L’Italia, lo sappiamo, è un paese di campanili con forti differenze regionali di abitudini e culture alimentari da Nord a Sud, da Est a Ovest. I formaggi, per esempio, sono presenti nella dieta quotidiana del 24,5% degli anziani del Nord-ovest, mentre al Sud e Isole la percentuale scende all’10,5%. Anche la struttura sociale dei diversi territori condiziona molto ciò che si mette in tavola. Il consumo per più di una volta a settimana di carni fresche è intorno al 65% tra
Nord- ovest, Nord-est e Centro, scende al 59,6% a Sud e al 49,3% nelle Isole. Per il pesce i rapporti sono differenti e il Sud prevale sulle altre zone d’Italia con il 46,6% degli intervistati, con un consumo più di una volta a settimana.
Il fattore economico influisce senza dubbio sulla composizione della dieta. Verdura e ortaggi sono consumati una volta al giorno da circa il 47-48% degli intervistati in tutte le classi di reddito, ma il consumo frequente e cioè più volte al giorno si attesta sul 17,3% di coloro che hanno pensioni tra 500 e 800 euro al mese, e sul 28,6% di chi ha pensioni superiori a 1500 euro mensili. Se si è in due si mangia meglio, lo dice chiaramente la ricerca dell’Auser e dello Spi. Le persone che vivono da sole, infatti, hanno una dieta meno varia e “più povera” con maggiore utilizzo di legumi e uova.
La spesa nei discount
La crisi economica ha inciso profondamente sul paniere della spesa degli anziani, con il calo di alcuni alimenti e la crescita di altri. Il 17,7% delle persone intervistate ha patito una diminuzione in quantità e qualità dei pasti giornalieri a causa della crisi. La crisi ha inciso di più fra le persone più anziani, gli over 75. Le donne – tra cui è presente una quota maggiore di vedove – per il 20% hanno diminuito pasti e consumi, contro il 15,55 degli uomini. La crisi ha pesato di più fra le persone meno istruite, tra chi ha le pensioni più basse e tra chi risiede al Sud e nelle Isole.
Chi ha patito la crisi fa la spesa soprattutto nei discount (38,7% contro 20,9% di chi non ne ha subito i contraccolpi), ritorna nei mercati rionali (31,7% contro 22,6%), abbandona i supermercati (49,8%, contro 82,8% del totale degli intervistati), ma ricorre in maniera analoga ai negozi di quartiere (22,3% contro 25,4%). Inoltre, sebbene non cambi la frequenza con cui si fa la spesa settimanalmente, per coloro che hanno diminuito i pasti è più frequente l’esclusività con un singolo luogo della spesa (56,5% contro 46,9%).
Tra gli alimenti assunti in modo significativo con la massima frequenza (più di una volta la giorno) si notano i cali più vistosi: ortaggi, verdura e frutta fresca che rientrano più volte al giorno nelle diete rispettivamente del 23,7% e del 33,8% del totale degli intervistati, scendono all’11,1% e 17,8% tra chi ha patito maggiormente la crisi. Rispetto agli alimenti consumati una volta al giorno, la frutta recupera tra chi ha diminuito i pasti a seguito della crisi (58,4%, contro il 52,4% sul totale), mentre si conferma il calo degli ortaggi/verdura (40,6%, rispetto al 46,4% sul totale). Tra le frequenze giornaliere, alcuni alimenti risultano evidentemente compensativi di altri, nella dieta quotidiana: aumentano, infatti, tra chi ha patito maggiormente la crisi latte e yogurt (dal 63,1% al 68,8%), il pane (dal 54,2% al 59,4%, diminuito però nella frequenza più di una volta al giorno) e, più marginalmente, i legumi (dal 6,6% al 8,7%). Diminuiscono invece i prodotti a base di cereali (da 48,7% al 40,9%).
Tra i prodotti di solito consumati generalmente più di una volta a settimana (carni, uova, pesce), si osserva un calo sensibile delle carni, sia fresche (dal 61,1% al 50,5%) sia trasformate (dal 47,1% al 39,5%), e ancor più consistente del pesce (dal 41,9% al 30,9%). Invece cresce il consumo di uova più di una volta a settimana (dal 33,8% al 40,6%).
Meno di tre pasti al giorno
La ricerca ci dice che i tre pasti principali rappresentati da colazione, pranzo e cena, sono consumati da oltre il 95% degli anziani. Quasi il 10% si concede anche uno spuntino mattutino e l’11% la merenda pomeridiana. Tre quarti degli intervistati consumano tre pasti regolari al giorno. Sono pochi coloro i quali ne consumano 4 (8,9%, di preferenza i tre pasti principali e una merenda pomeridiana), e solamente il 3,9% consuma 5 pasti al giorno. Viceversa, un non marginale 7,7% consuma quotidianamente meno di 3 pasti. Se si guarda al reddito e si considerano gli effetti della crisi economica, risulta che il 13,4% degli anziani con reddito fra i 500 e gli 800 euro consuma meno di tre pasti al giorno e ancora di più le persone che hanno diminuito i pasti a seguito della crisi (ben il 17,8% consuma meno di 3 pasti al giorno).
Questa rarefazione dei pasti pare anche associata all’età, ma con un andamento meno lineare di altre variabili: la maggiore frequenza di chi consuma meno di 3 pasti quotidiani cresce fino ai 70-74 anni (10,8%), per poi ridiscendere sotto la media. Dal punto di vista dell’età, probabilmente si tratta di un fase critica e di passaggio, al netto di altre condizioni economiche, di residenza, territoriali, etc. La colazione è uno dei pasti fondamentali, gli anziani affrontano la giornata consumando caffelatte nel 57.7% dei casi o caffè (27,1%), meno frequente il consumo di tè (13,5%) e orzo (3,4%9. Tra i cibi pane e marmellata sono diffusi nel 22,3% dei casi, le fette biscottate nel 15,3%, yogurt nel 5,6% e solamente un risicato 2,5% degli intervistati fa colazione con cibi salati. Una larga parte degli anziani intervistati fa una colazione leggera con un solo alimento (51,7% spesso solo caffè o caffelatte), oltre un terzo combina due alimenti.
La spesa, dal supermercato al negozio sotto casa
I tre quarti degli intervistati (76,6%) fanno abitualmente la spesa nei supermercati, il 24,3% nei discount, vanno al mercato rionale il 24,4% degli anziani e al negozio sotto casa il 24,8%. Ancora poco frequentati i negozi bio, i gruppi di acquisto solidale, mercati contadini e km 0, frequentati da pochi anziani, con pensioni medio alte ed elevato livello di istruzione.
Dietro a queste scelte pesano tanti fattori, sia soggettivi sia legati ad abitudini culturali e di vita. Chi fa abitualmente la spesa al supermercato è il 54,8% dei rispondenti, mentre si attesta al 90,7% tra chi ha pensioni superiori a 1.500 euro. Viceversa, i discount sono frequentati dal 33,7% delle persone che dichiarano pensioni tra 500 e 800 euro, e dal 16,5% dei pensionati con più di 1.500 euro. Tra chi vive solo risulta maggiore il numero di chi fa la spesa abitualmente nei discount (29% contro il 20% di chi vive con coniuge o figli). Anche l’età incide sui luoghi dove si fa la spesa. Più si è anziani e più si preferisce frequentare il negozio vicino casa.
A tavola davanti alla Tv
La quasi totalità degli anziani intervistati (93,1%) consuma i pasti a tavola, la metà pasteggia davanti alla Tv magari guardando il telegiornale o il programma preferito. Il tempo dedicato al consumo
dei pasti è abbastanza veloce, circa mezzora. I cibi vengono preparati nella cucina di casa propria, solo il 2,1% utilizza convenzioni con trattorie e l’1,2% fruisce della consegna dei pasti già pronti a domicilio. Tre quarti degli intervistati (75,6%) cucinano i propri pasti per sé e per il coniuge o altri parenti. Ai pasti più veloci corrisponde il minor uso di carni fresche e pesce. Tra le persone coniugate cucinano il 52,4% degli uomini contro il 95,6% delle donne.
Gli avanzi
Tra gli intervistati solamente il 17,5% butta cibo avanzato dopo la preparazione e il 26,1% butta cibo al naturale, ancora non preparato perché non più commestibile. Ma qual è il profilo di chi non riesce a consumare tutto il cibo preparato e gli alimenti acquistati? Tra coloro che buttano cibo cucinato appaiono differenze sociali considerevoli: da una parte le persone con pensioni più basse e più bassi titoli di studio (solo il 9-11% buttano cibo cucinato) e dall’altra chi ha assegni pensionistici oltre i 1.500 euro e gli alti titoli di studio (buttano cibo oltre un quarto degli intervistati). Un rapporto analogo (circa il 15% contro il 35%) si evidenzia tra coloro che buttano cibo al naturale, considerando il confronto tra i bassi redditi/titoli di studio e quelli alti.
Disponibili a cambiare
Il 40,1% degli intervistati è disponibile a cambiare le proprie abitudini alimentari. Tra le motivazioni, prevalgono quelle legate alla salute e al benessere (84%), ma vi sono quote di persone per le quali il cambiamento è anche associato a obiettivi di sostenibilità ambientale (eliminare lo spreco per il 9,8% degli intervistati, e produrre meno rifiuti e inquinamento per il 6,1%). A questa disponibilità generale si associa un’analoga disponibilità alla frequenza di corsi e occasioni formative, nel 39,6% dei casi. La disponibilità a cambiare abitudini si lega alla condizione reddituale delle persone, ma in misura inferiore alle differenze di istruzione.
La disponibilità a cambiare abitudini si concentra in modo evidente su caratteristiche personali e relazionali, coinvolge maggiormente le donne (42,1%) rispetto agli uomini (38,4%), le persone più giovani (48,1% dei 60-64enni contro il 30,5% dei 75-79enni).