“Il Reddito di inclusione sociale è una misura per la lotta alla povertà, non per ridurre l’impoverimento. Da questa punti di vista la differenza con il Reddito di cittadinanza è chiara. Sono due strumenti che si rivolgono a platee differenti”. Cristiano Gori, docente di Politica sociale all’Università cattolica di Milano e curatore del Rapporto Caritas 2015 sulle politiche contro la povertà Italia (Dopo la crisi, costruire il welfare), vuole innanzitutto chiarire la differenza tra la proposta avanzata dalla Caritas per 4,1 milioni di indigenti, Il Reddito di inclusione sociale appunto e quella fatta propria in Parlamento dal Movimento 5stelle. “Lo strumento che noi abbiamo elaborato – continua Gori - e che proponiamo al Governo Renzi, si rivolge alle persone in povertà assoluta, il 6,8% degli italiani. Il contributo economico che ricevono è pari alla differenza tra la soglia di povertà assoluta e il reddito familiare del beneficiario. Sono i Comuni ad avere la regia di questa misura insieme a soggetti del Terzo settore e non i Centri dell’impiego. Ma le differenze con il reddito di cittadinanza non sono tutte qui”.
Cosa altro c’è?
Noi di Alleanza contro la povertà, l’organismo che promuove il Reddito di inclusione sociale, sosteniamo che la lotta all’impoverimento debba essere perseguita con strumenti diversi dal Reddito di cittadinanza. A chi sta cadendo nell’indigenza devi dare agevolazioni fiscali non un reddito minimo. Devi assicurare politiche per l’impiego che creino lavoro, e ne diano uno nuovo a chi lo ha perduto e non esclusivamente sostegni economici. Il reddito va destinato appunto a chi è già caduto in povertà e non ha per il momento strumenti per sopravvivere dignitosamente, non a chi sta per arrivarci. Voglio chiarire bene: la lotta all’impoverimento è un tema cruciale e deve essere una priorità del welfare, ma va combattuta con strumenti differenti.
C’è anche una differenza in termini di dotazioni: il reddito di cittadinanza costa molto di più.
In effetti in quel caso si parla di circa 17 miliardi di euro, dei quali 14,9 destinati ai contributi economici che sarebbero gestiti dai Centri per l’impiego. La platea di destinazione del Reddito di cittadinanza voluto dal movimento 5stelle è infatti molto più ampia: si parla di 14,9% degli italiani.
Per quanto riguarda invece il reddito di inclusione sociale?
Noi prevediamo uno stanziamento complessivo di circa 7,1 miliardi, la platea di destinazione è pari al 6,8% degli italiani. La spesa è suddivisa in quattro anni, e nel primo anno ammonta a 1,8 miliardi.
Come mai una spesa suddivisa in quattro anni?
E’ un punto centrale della proposta. Il reddito di inclusione sociale dovrebbe essere gestito dai Comuni ed è per loro un tema assolutamente nuovo. Chiamarli a questo forte impegno richiede tempo, competenze nuove che vanno formate. Ecco perché abbiamo pensato di suddividere gli stanziamenti in quattro anni: per rendere sostenibile la riforma stessa. Se vuoi che qualcosa rimanga non devi spendere tutti i soldi subito, ma in un’ottica di riforma stabile, durevole. Il reddito di inclusione sociale funziona se il Governo si impegna ad arrivare fino alla fine della riforma
Una misura simile al reddito di inclusione sociale già stata sperimentata in 12 grandi comuni. Qual è il bilancio?
Ci sono punti di forza e di debolezza. Emergono molti elementi utili per allargare su tutto il territorio nazionale questa misura. Ma quel che conta è che ormai in Italia abbiamo superato la fase della sperimentazione: la prima misura contro la povertà è stata varata da Livia Turco, ministro nel 1998. Oggi non servono più sperimentazioni, serve procedere a una riforma. È questo quello che alleanza contro la povertà chiede al governo Renzi.
Da chi è composto questo soggetto proponente?
L’iniziativa è partita dal mondo cattolico, dalla Caritas e dalle Acli. Oggi fanno parte di Alleanza anche Cgil Cisl e Uil, Anci, la Conferenza delle regioni, il CNCA. Si sono superate tutte le barriere ideologiche. Si è creato un unico soggetto di rappresentanza della lotta alla povertà. Già questo mi sembra un ottimo risultato.
Colpisce il fatto che come l’Italia solo la Grecia non abbia ancora una misura contro la povertà assoluta nel proprio sistema di welfare.
Infatti. Durante la crisi, dal 2007 in avanti, non soltanto non è stata introdotto alcuno strumento ma il nostro sistema di welfare, già molto carente prima, è addirittura peggiorato: i trasferimenti ai Comuni, com’è noto, sono stati tagliati per vincoli di bilancio pubblico. Mentre proponiamo al Governo Renzi di adottare il Reddito di inclusione sociale, siamo consapevoli di chiedere una riforma che avrebbe dovuto essere introdotta nella seconda Repubblica. Oggi combattere la povertà sarebbe stato molto più semplice.