Tutte le immagini di questo servizio sono del servizio fotografico dell'Osservatore Romano/Vatican.va
Inutile nascondercelo. Questo è il tempo della paura. Dell'angoscia. Il coronavirus mina alla radice le certezze sia quelle singole che quelle collettive. Il Papa lo sa. E sprona tutti a non avere paura di avere paura, salvo trasformare questo sentimeno in preghiera, senza lasciarsi paralizzare. L'ha detto stamane prima di celebrare la Messa a Santa Marta, come ci consueto ormai senza fedeli e trasmessa in streaming.
«In questi giorni di tanta sofferenza, c’è tanta paura», ha esordito Jorge Mario Bergoglio. «La paura degli anziani, che sono soli, nelle case di riposo o in ospedale o a casa loro e non sanno cosa possa accadere. La paura dei lavoratori senza lavoro fisso che pensano come dare da mangiare ai loro figli e vedono venire la fame. La paura di tanti servitori sociali che in questo momento aiutano a mandare avanti la società e possono prendere la malattia. Anche la paura – le paure – di ognuno di noi: ognuno sa quale sia la propria. Preghiamo il Signore perché ci aiuti ad avere fiducia e a tollerare e vincere le paure».
«Sappiamo aspettare il Dio vivente?»
Nell’omelia, partendo dalle letture di oggi (in primo luogo, la pagine del vitello d'oro), Francesco s'è concentrato sull'idolatria, sottolineando come essa ci faccia perdere perdere i doni del Signore. L’idolatria ci porta a una religiosità sbagliata. Ecco perché è bene fare un esame di coscienza per scoprire i nostri idoli nascosti.
«Nella prima lettura c’è la scena dell’ammutinamento del popolo», ha affermato il Santo Padre. «Mosè se n’è andato al monte per ricevere la Legge: Dio l’ha data a lui, in pietra, scritta dal suo dito. Ma il popolo si annoiò e fece ressa intorno ad Aronne e disse: “Ma, questo Mosè, da tempo non sappiamo dove sia, dove sia andato e noi siamo senza guida. Fateci un dio che ci aiuti ad andare avanti”. E Aronne, che dopo sarà sacerdote di Dio ma lì è stato sacerdote della stupidaggine, degli idoli, ha detto: “Ma sì, datemi tutto l’oro e l’argento che avete”, e loro danno tutto e fecero quel vitello d’oro. Nel Salmo abbiamo sentito il lamento di Dio: “Si fabbricarono un vitello sull’Oreb, si prostrarono a una statua di metallo, scambiarono la loro gloria con la figura di un toro che mangia erba”. E qui, in questo momento, quando incomincia la Lettura: “Il Signore disse a Mosè: "Va’, scendi, perché il tuo popolo che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato. Si sono fatti un vitello di metallo fuso poi gli si sono prostrati davanti, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: ‘Ecco il tuo dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto’».
Quella che ha segnato il popolo d'Israele, e caratterizza anche noi quando sostituiamo Dio con gli idoli. è «una vera apostasia. Su questo io vorrei accennare alcune cose. Prima di tutto, quella nostalgia idolatrica nel popolo: in questo caso, pensava agli idoli dell’Egitto, ma la nostalgia di tornare agli idoli, tornare al peggio, non sapere aspettare il Dio vivente. Questa nostalgia è una malattia, anche nostra. Si incomincia a camminare con l’entusiasmo di essere liberi, ma poi incominciano le lamentele: “Ma sì, questo è un momento duro, il deserto, ho sete, voglio dell’acqua, voglio la carne … ma in Egitto mangiavamo le cipolle, le cose buone e qui non c’è …”. Sempre, l’idolatria è selettiva: ti fa pensare alle cose buone che ti dà ma non ti fa vedere le cose brutte. In questo caso, loro pensavano a come erano a tavola, con questi pasti tanto buoni che a loro piacevano tanto, ma dimenticavano che quello era il tavolo della schiavitù. L’idolatria è selettiva».
«Poi, un’altra cosa», ha aggiunto Francesco: «l’idolatria ti fa perdere tutto. Aronne, per fare il vitello, chiede loro: “Datemi oro e argento”: ma era l’oro e l’argento che il Signore aveva dato loro, quando disse loro: “Chiedete agli egiziani oro in prestito”, e poi sono andati con loro. È un dono del Signore e con il dono del Signore fanno l’idolo. E questo è bruttissimo. Ma questo meccanismo succede anche a noi: quando noi abbiamo atteggiamenti che ci portano all’idolatria, siamo attaccati a cose che ci allontanano da Dio, perché noi facciamo un altro dio e lo facciamo con i doni che il Signore ci ha dato. Con l’intelligenza, con la volontà, con l’amore, con il cuore … sono i doni propri del Signore che noi usiamo per fare idolatria».
«Quali sonio i miei idoli? Attenzione a un religiosità sbagliata»
«Sì, qualcuno di voi può dirmi: “Ma io a casa non ho idoli. Ho il Crocifisso, l’immagine della Madonna, che non sono idoli …», ha proseguito il Papa. «No, no: nel tuo cuore. E la domanda che oggi dovremmo fare è: qual è l’idolo che tu hai nel tuo cuore, nel mio cuore. Quell’uscita nascosta dove mi sento bene, che mi allontana dal Dio vivente. E noi abbiamo anche un atteggiamento, con l’idolatria, molto furbo: sappiamo nascondere gli idoli, come fece Rachele quando fuggì da suo padre e li nascose nella sella del cammello e fra i vestiti. Anche noi, tra i nostri vestiti del cuore, abbiamo nascosti tanti idoli. La domanda che vorrei fare oggi è: qual è il mio idolo? Quel mio idolo della mondanità … e l’idolatria arriva anche alla pietà, perché questi volevano il vitello d’oro non per fare un circo: no. Per fare adorazione: “Si prostrarono davanti a lui”. L’idolatria ti porta a una religiosità sbagliata, anzi: tante volte la mondanità, che è un’idolatria, ti fa cambiare la celebrazione di un sacramento in una festa mondana. Un esempio: non so, io penso, pensiamo, non so, figuriamoci una celebrazione di nozze. Tu non sai se è un sacramento dove davvero i novelli sposi danno tutto e si amano davanti a Dio e promettono di essere fedeli davanti a Dio e ricevono la grazia di Dio, o è una mostra di modelli, come vanno vestiti l’uno e l’altro e l’altro … la mondanità. È un’idolatria. È un esempio, questo. Perché l’idolatria non si ferma: va sempre avanti. Oggi la domanda che io vorrei fare a tutti noi, a tutti: quali sono i miei idoli? Ognuno ha i propri. Quali sono i miei idoli. Dove li nascondo. E che il Signore non ci trovi, alla fine della vita, e dica di ognuno di noi: “Ti sei pervertito. Ti sei allontanato dalla via che io avevo indicato. Ti sei prostrato dinanzi a un idolo”. Chiediamo al Signore la grazia di conoscere i nostri idoli. E se non possiamo cacciarli via, almeno tenerli all’angolo»