Con Il desiderio di essere come tutti (Einaudi) Francesco Piccolo ha vinto la 68esima edizione del Premio Strega, l'ambito premio letterario promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci.
Dai funerali di Berlinguer alla scoperta del piacere di perdere, dal rapimento di Moro al tradimento del padre, Il desiderio di essere come tutti è un libro in cui la vicenda personale dello scrittore si intreccia con la storia della sinistra italiana, in un racconto di formazione individuale e collettiva che ci riguarda tutti.
Il vincitore è stato proclamato ieri sera poco dopo la mezzanotte, nella splendida cornice del ninfeo di Villa Giulia a Roma, affollatissima come non succedeva da tempo. Tra gli ospiti della serata c'era il Sindaco di Roma, Ignazio Marino, che ha così commentato
"E' importante che Roma continui questa tradizione della sponsorizzazione, non possiamo sottrarci" riferendosi alla rinnovata collaborazione tra il Premio Strega e il Comune di Roma, con uno stanziamento di cinquantamila euro l'anno.
Insieme a Piccolo, la cinquina di quest'anno era composta da Giuseppe Catozzella (Non dirmi che hai paura, Feltrinelli), Antonella Cilento (Lisario. Il piacere infinito delle donne, Mondadori), Francesco Pecoraro (La vita in tempo di pace, Ponte alle grazie) e Antonio Scurati (Il padre infedele, Bompiani).
Come è nata l'idea di questo libro?
«Quella di raccontare l'autobiografia di una persona all'interno della
biografia di un Paese, era un'idea che avevo in testa già da moltissimi
anni. Quello che ho cercato di fare è stato tenerla in mente per molto
tempo. Poi il libro si è fatto da solo, scrivendolo».
Nel libro parli del passaggio dalle due B, da Berlinguer a Berlusconi.
Secondo te dove sta andando l'Italia?
«Dove sta andando adesso si vedrà. Io ho cercato di raccontare come si è
trasformata e come, all'interno di questa trasformazione, a sinistra ci
siano stati tanti errori. Così, ho cercato di rendere questi errori vivi
e sopportabili».
Qual è l'immagine del tuo libro che meglio rappresenta questa
disillusione?
«L'immagine c'è nel mio libro e c'è stata nella realtà. I giorni del
funerale di Berlinguer credo che abbiano segnato la fine un'epoca e,
insieme, la fine di un modo di stare a sinistra che era simboleggiato da
lui. Da quel momento in poi la sinistra è diventata reazionaria e alla
ricerca di una diversità eccessiva che l'ha molto emarginata».
Secondo te la sinistra di oggi è vicina alla gente?
«Credo che per la prima volta dopo Berlinguer la sinistra sia
potenzialmente più vicina alla gente. Ma è una cosa tutta da verificare».
E' così difficile essere come tutti?
«Non so se è difficile, ma prima di tutto bisogna un po' volerlo essere,
che significa voler stare in questo Paese anche insieme a quelli che non
ti piacciono. Questa è la prima difficoltà. L'altra è farlo, che non è
una cosa semplice».