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domenica 09 febbraio 2025
 
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Prendiamo il testimone dai testimoni di Auschwitz, il futuro della memoria nell'era della post-verità

27/01/2025  I testimoni sono tornati con la paura di raccontare di non essere creduti, 80 anni dopo, nell'era dell'intelligenza artificiale e dei sovranismi, ora che sono rimasti in pochi l'ansia è di essere dimenticati. Un rischio che non ci possiamo permettere

Se 80 anni fa quando Primo Levi, ancora in lager, cominciò a scrivere su foglietti di carta con un mozzicone di matita, la paura dei sopravvissuti era veder materializzarsi il sogno di tornare, raccontare e non essere creduti, tanto grande era l’orrore di Auschwitz, il campo simbolo della Shoah liberato il 27 gennaio 1945, non per caso data simbolo internazionale della memoria dello sterminio degli ebrei in europa a opera del fascismo. Oggi, che i testimoni diretti sono rimasti in pochi, che sentono il loro tempo corto, la paura che sentiamo ricorrere nelle parole di Liliana Segre, di Edith Bruck, di Sami Modiano, è che dopo di loro non resti che una frase nei libri di storia, che la memoria, in un clima che non ha più voglia né interesse a coltivarla, svanisca con loro.

Si percepisce, oggi che con i più vari pretesti, sono bersagli di odio sui social, questi ultranovantenni, fragili e forti, che non hanno mai abbassato la testa, che si sono fatti carico con dolore della fatica di testimoniare lo sterminio anche a nome di coloro che, come diceva Primo Levi, hanno visto il fondo dell’abisso e non sono potuti tornare a raccontarlo.

La loro angoscia oggi, è che la verità, perché di questo si tratta, sia sepolta con loro: finché ci saranno nessuno potrà più dire «questo non è stato», ma dopo?

Vedono, come negarlo?, attorno a sé un mondo che ha sdoganato i saluti romani, i simboli dell’orrore, parole e gesti che solo fino a poco tempo fa erano tabù relegati all’indecenza; vedono avanzare l’era della post-verità, sul cui presupposto il nazismo costruì ante litteram le basi della sua menzogna: ripetere una falsità all’infinito è il modo di farla penetrare, di renderla «vera», creduta, indipedentemente dal suo fondamento.

Nell’era dei social tutto questo è amplificato dalla pervasività dei mezzi: cambiano i contenuti, ma la fabbrica del nemico funziona ancora allo stesso modo, solo che va ovunque e più velocemente. Come non capire i loro timori in questo mondo, che pretende da loro, che erano bambini, innocenti e deportati, 80 anni fa, di giustificarsi per le distorsioni delle scelte attuali di Israele? Come non capirli nell’era dell’intelligenza artificiale in cui il confine tra vero e falso diventa sempre più labile e difficile da distinguere, in cui la fabbricazione di una falsità ben confezionata è così a portata di mano.

Non abbiamo altri strumenti per tutelare la pace dei loro fragili anni d’argento che assumere l’impegno di farci carico noi di continuare il loro lavoro, di ristabilire la verità ogni volta che viene negata con qualunque pretesto, di provare a trasmettere a chi verrà dopo il senso critico necessario a non credere a ogni bufala replicata in Rete all’infinito.

Non sarà facile, sarà la sfida ardua del presente e del futuro ma lo dobbiamo a Liliana Segre, a Sami Modiano, a Edith Bruck, a Tatiana e Andra Bucci, come lo dobbiamo a noi stessi, alla nostra storia, ai troppi che non sono tornati, a chi verrà dopo e non potrà più contare sulle voci di chi è tornato a raccontare.

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