Le scrivo su un argomento che mi sta a cuore e che mi dà molta pena: la pedofilia nella Chiesa. Lo faccio dopo il recente episodio in cui è rimasto coinvolto don Paolo Glaentzer. Com’è possibile che un uomo che “respira” il Vangelo tutti i giorni possa commettere un simile abominio? Mi sembra che le autorità ecclesiastiche cerchino il più possibile di minimizzare. Non vedo prese di posizione chiare e inequivocabili.
Bisogna però anche prevenire il male. Serve una riflessione. C’è qualcosa di sbagliato nella formazione di un prete? I seminari sono luoghi dove possono formarsi pericolose tendenze sessuali? Sarebbe il caso di ripensare all’obbligo del celibato?
PIETRO SUPERINA
La pedofilia è un vero e proprio dramma del nostro tempo e riguarda il clero solo in piccola parte. Anche se l’abominio è ancora maggiore quando è coinvolto un prete. Nella Chiesa, grazie in particolare agli ultimi due Papi, si sta facendo molto per vincere la tendenza a “lavare i panni sporchi in casa”. La stessa diocesi di Firenze ha immediatamente sospeso dal ministero don Paolo Glaentzer.
Secondo i dati resi noti poco tempo fa da Telefono azzurro, nel 2017 in media ogni tre giorni si è verificato un caso di abuso sessuale su minori, ma il dato è più ampio perché si stima che una vittima su tre taccia per paura. Ernesto Caffo, presidente di Telefono azzurro, specifica che «l’abuso molte volte avviene sia in famiglia sia nella scuola, nelle realtà sportive, nelle comunità religiose». Che cosa si può fare? Anche nella Chiesa, come in molte nazioni e in molte realtà educative, ci si sta interrogando concretamente. I vescovi italiani, per esempio, hanno messo in piedi un gruppo di lavoro per la prevenzione della pedofilia; l’associazione Meter di don Fortunato Di Noto da anni si batte per denunciare i casi su Internet e offre un corso per una nuova pastorale contro pedofilia e abusi sessuali sui minori.
Credo che ci si debba interrogare anche sulla formazione dei preti, ripensando il modo di vivere nei seminari, senza dimenticare che viviamo in una società pansessualista e nello stesso tempo individualista, dove i più piccoli e i più deboli diventano vittime. Il tema riguarda tutti. Come ha detto sempre Ernesto Caffo, «dobbiamo formare gli adulti, gli educatori, a cogliere segnali precoci e saper aiutare le vittime, trovando modalità di ascolto protette».