Dal 31 maggio al 3 giugno 2017 si è tenuta a Boston la 54.a Conferenza annuale dell’Afcc (Association of Family and Conciliation Courts, che raccoglie gli operatori del diritto di famiglia e dei servizi di mediazione e consulenza familiare), dal titolo Trasformare il caleidoscopio dei conflitti familiari in un prisma di armonia. Oltre 1.000 partecipanti (avvocati, psicologi, mediatori familiari, giudici, assistenti sociali), da 19 Paesi di tutti e cinque i continenti, con un titolo per molti versi sorprendente, perché mette a tema, in modo non ideologico, la possibilità che i conflitti familiari e di coppia possano e debbano essere affrontati sia per trovare nuovi equilibri anche dopo una rottura del legame coniugale, ma anche, perché no, per riflettere su come NON arrivare al divorzio.
Moltissimi i contenuti e le esperienze raccontate (più di 100 workshop, nei quattro giorni, sia dagli Stati Uniti che da altri Paesi), spesso di grande innovatività, come la prima sessione, in cui in plenaria – a sottolinearne l’importanza - sono stati presentati i dati di alcune sperimentazioni (già attuate In Usa e in Olanda) per gestire i processi di mediazione familiare attraverso un software ad hoc, con tutti i rischi e le opportunità che questa gestione informatizzata comporta (maggiore riflessività, ma anche rischi di squilibri ai danni di chi non è “esperto” di reti, Internet e computer...). A dire che anche nel lavoro di accompagnamento delle famiglie e delle coppie i nuovi media non hanno un ruolo marginale, ma possono e devono fornire nuove opportunità.
Di estremo interesse sono stati poi i dati dei risultati di un progetto dal titolo intrigante, “Una consulenza per il discernimento per coppie dal futuro incerto” (libera traduzione di Discernment Counseling for “mixed-agenda” couples). In tale sperimentazione, in accordo con gli avvocati divorzisti operanti presso un Tribunale negli Stati Uniti, alle coppie che chiedevano di portare in tribunale la pratica di divorzio è stato proposto di partecipare ad un percorso di “discernimento”, che prevedeva colloqui con terapeuti per capire meglio se davvero il divorzio era ciò che si desiderava (da uno a cinque incontri), ed eventualmente proseguire con il divorzio, oppure avviare un percorso di terapia familiare, o un periodo di prova di sei mesi, in cui entrambi i partner decidono di verificare davvero se il legame di coppia e il matrimonio fossero davvero finiti.
Tre sono le riflessioni su questa esperienza: in primo luogo I risultati sono stimolanti: circa il 40% delle coppie ha deciso di NON separarsi; senza questo passaggio di “discernimento” tutte sarebbero arrivate in tribunale, sentendosi ormai (come detto dal relatore americano) su una “autostrada ad alta velocità, senza uscite possibili”, dove non si può che continuare a correre fino alla destinazione finale: il divorzio.
Il secondo punto, abbastanza sorprendente, riguarda l’interesse degli stessi avvocati, che spesso sembrerebbero essere solo interessati “ad acquisire il cliente” e ad aumentare la conflittualità. In questo progetto invece gli avvocati per primi apprezzavano e hanno promosso questo intervento, sia perché clienti più consapevoli e meno conflittuali sono clienti migliori, sia perché ascoltare le coppie e le loro vere esigenze aumenta la soddisfazione dei clienti e il loro credito professionale, restituendo loro, in ultima analisi, un business migliore.
L’ultimo aspetto è però quella che è sembrato maggiormente sorprendente, ed è connesso alla parola “discernimento”, che nel nostro Paese sembra connessa ad un approccio esageratamente “intellettuale”, e spesso carica anche di un certo “clericalismo”, tipico del mondo cattolico, e anche un po’ moralistico. Invece, a Boston, questa parola è stata proposta con grande credibilità scientifica, basandosi su dati di ricerca, e proponendo il “discernimento” come un bisogno fondamentale dell’essere umano, tanto più quando affronta una scelta come quella del divorzio, estremamente pesante per coniugi e figli. Si tratta di restituire alle persone uno spazio di riflessione sulle proprie scelte, combattendo l’inerzia della rabbia, della delusione, della stanchezza di un rapporto di coppia, aiutandole a domandarsi: davvero è quello che voglio, rompere il mio matrimonio? La risposta è poi lasciata alla libertà delle persone; ma non lasciandole sole.
Non mancano, nel nostro Paese, esperienze di questo tipo, sia nei consultori, sia da alcune associazioni o realtà locali. Ma conforta vedere che l’esigenza di prevenire la rottura del matrimonio è ampiamente diffusa a livello internazionale, Perché, come riportato nei materiali del seminario, «
la soluzione non è rendere i divorzi più difficili, ma rendere migliori i matrimoni» («t
he solution is not to make divorces harder, but to make marriages better»).