Anversa, Belgio
Dalla nostra inviata speciale
«Che la pace abbia l'ultima parola». Il vescovo di Anversa, monsignor Joahn Bonny, nel dare il benvenuto alla comunità di Sant'Egidio che dal 7 al 9 settembre riunisce nella città belga oltre 300 leader religiosi, sventola il programma dell'incontro. «Qualcuno la settimana scorsa lo ha messo nella mia cassetta delle lettere. Dietro il titolo di questo incontro, "La pace è il futuro", era stato messo un grande punto interrogativo», racconta il vescovo. «Oggi capisco bene questo punto interrogativo rosso. La pace è il nostro futuro? Lo scorso anno e l'estate scorsa sono scoppiati un conflitto dopo l'altro soprattutto nell'Europa dell'Est e in Medio Oriente. Era molto tempo che non vedevamo tante immagini di attentati con bombe, città distrutte, militari uccisi, e soprattutto civili uccisi, e persino due giornalisti decapitati. Chi non è preoccupato di quale fine farà la pace nel prossimo futuro?». Ma poi il vescovo ricorda anche il lavoro che fa ciascuno dei presenti per una società pacifica e si augura che, «dopo questi giorni possiamo sostituire il punto interrogativo rosso della brochure in un punto esclamativo verde. Perché crediamo nella pace e la vogliamo costruire».
A incoraggiare i presenti, a causa nei conflitti nei propri Paesi meno di quanti avrebbero voluto venire, anche le parole di papa Francesco che ha voluto da un lato ricordare che «l'anniversario della prima guerra mondiale ci insegna che la guerra non è mai un mezzo soddisfacente a riparare le ingiustizie e a raggiungere soluzioni bilanciate alle discordie politiche e sociali» e dall'altro sottolineare la forza della preghiera: «Tutti noi ci siamo resi conto che la preghiera e il dialogo sono profondamente correlati e si arricchiscono a vicenda. La ricerca della pace e della comprensione attraverso la preghiera possono creare legami durevoli di unità e prevalere sulle passioni di guerra. La guerra non è mai necessaria, né inevitabile. Si può sempre trovare un'alternativa: è la via del dialogo, dell'incontro e della sincera ricerca della verità».
Al tavolo dei relatori, per raccogliere la sfida di riuscire a costruire la pace, un panel di tutto rispetto. Accanto ad Andrea
Riccardi, anche lo scrittore Zygmunt Bauman, il patriarca siro
ortodosso di Antiochia e di Tutto l'oriente Ignatius Aphrem III, il
rabbino Abraham Skorka, il consigliere della scuola Buddista tendai,
Gijun Sugitani, il presidente del Consiglio europeo, Herman Van
Rompuy...
«La pace è il nome di Dio», ha ricordato il fondatore di
Sant'Egidio, «e fare guerra in nome della religione è blasfemo». Un
lungo applauso ha accolto le parole con le quali Riccardi ha voluto
ricordare padre Paolo Dall'Oglio, sequestrato in Siria ormai da oltre un anno. E sul dramma siriano si è soffermato soprattutto il patriarca Aphrem, che già nella celebrazione ecumenica della mattina, aveva sottolineato che c'è speranza e che Dio continua a essere presente laddove ci sono i drammi della storia. Questa speranza si vede quando «vediamo un padre che ha perso tutta la sua
famiglia - padre, madre, moglie e due bambini – a causa di barbarici atti
omicidi avvenuti a Sadad, in Siria – ed è ancora in grado di sorridere
serenamente e di sottomettersi felicemente alla volontà di Dio che egli sa
essere vicino a sé nella sua angoscia».
E di speranza riesce a parlare anche Vian Dakheel, membro del parlamento iracheno, esponente della comunità yazida. Nonostanteracconti i drammi, le uccisioni di
centinaia di persone, il rapimento e la vendita di donne e ragazze, di
massacri talmente cruenti da costringere gli estremisti dell'Isis a
ritirarsi per qualche giorno per l'odore dei cadaveri da loro stessi
disseminati nel villaggio di Siba Sheikh Khdr, questa donna coraggiosa riesce a emozionare e a ridare speranza a chi la ascolta.
Eppure, nonostante le barbarie, si può continuare a sognare la pace, «mano nella mano, rinunciando al settarismo», dice Vian Dakheel, accolta da una lunghissima ovazione.