Alla parola profughi associamo subito gli arrivi sulle nostre coste. Ma la fuga da persecuzioni e guerre non è solo una questione europea: dal 25 agosto in Bangladesh sono 600 mila, più del quintuplo degli sbarchi in Italia di tutto il 2017, i rohingya che hanno attraversato il confine per l’esplosione delle violenze in Myanmar (ex Birmania).
Si tratta della più grande minoranza apolide del mondo, a cui è stata rifiutata la cittadinanza da una legge del 1982 che ne ha limitato fortemente la libertà di movimento, quella religiosa e l’accesso all’istruzione. Sono musulmani (e in misura minore indù) e per questo vengono perseguitati dallo Stato birmano, a maggioranza buddista. Immaginate l’orrore di vedere uomini mascherati che assaltano il tuo villaggio e che danno fuoco alla tua casa. «Ne avevano già assalito e incendiato due prima che arrivassero al mio», dice Bala, 30 anni. Lei prende i suoi tre figli e scappa nella foresta. Alla fine trovano rifugio in Bangladesh.
Un importante sostegno ai rohingya è arrivato a inizio novembre quando la Fondazione Prosolidar ha annunciato lo stanziamento di 100 mila euro per sostenere le azioni dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr). Prosolidar è stata costituita nel 2010 dall’Abi, l’associazione delle banche italiane, insieme alle organizzazioni sindacali del settore del credito, in rappresentanza degli oltre 310 mila dipendenti del settore.
La donazione servirà per l’assistenza psicologica ai minori, la distribuzione di coperte, cure mediche, acqua e la costruzione di strutture sanitarie; alcuni nuclei riceveranno assistenza economica per percorsi verso l’autosufficienza. Una delle famiglie sarà quella di Nurus e della moglie Sanijda. Quando è scoppiata la guerra sono fuggiti a bordo di un peschereccio verso il Bangladesh: la barca, colpita da una tempesta, è affondata. La coppia è sopravvissuta, ma il figlio di due anni non ce l’ha fatta. «Se chiudo gli occhi», dice Nurus, «lo sento ancora piangere e chiamarmi papà».