«Il gioco è un dramma. Da
anni ormai ne sono uscito,
sono riuscito a farlo diventare
solo una passione e a
controllarlo, ma devo essere vigile tutti
i giorni, perché perdere il controllo è
possibile in qualsiasi momento. La passione
per il gioco è dentro di me, è nel
mio Dna, è come se fosse nata con me.
Se penso al gioco, tuttora mi si scatena
l’adrenalina. Anche se riesco a controllarmi,
sto ancora soffrendo».
Ha toni a tratti drammatici la testimonianza
di Enzo Ghinazzi, in arte Pupo.
Uomo da palcoscenico, toscano
Doc, la sua esperienza è quella di un
uomo che a 59 anni ha vissuto due volte:
la prima come cantante di successo
e giocatore accanito, la seconda come
conduttore, attore e scrittore, ma soprattutto
come un uomo libero dalla
sua dipendenza.
Il suo successo è arrivato con le radio
private, con il passaggio in onda del 45
giri Come sei bella, seguito nel 1976 dalla
pubblicazione dell’album omonimo.
Da allora è un susseguirsi di hit e con
la gloria arrivano anche i milioni, come
racconta lui stesso: «Compravo Mercedes
in contanti, ero arrogante, adoravo
gli adulatori».
Poi arriva il tempo della crisi, umana
e professionale, negli anni ’90: da un
milione di dischi l’anno era piombato
a 15 mila. «Ero in un delirio di onnipotenza
che mi ha portato nel baratro. Andavo
al casinò tutte le sere, bruciavo il
fido concesso ai giocatori abituali in pochi
minuti; poi arrivavano gli strozzini,
quelli che ti chiedono il dieci per cento
di interesse al giorno. Una sera, tornando
da Venezia, fermo su un viadotto
dell’autostrada, ho pensato di buttarmi
giù. Ho dovuto vendere tutto quello che
avevo comprato: un albergo, una fattoria
di venti ettari, una società orafa, le
case. Quella sera ho capito che il gioco
d’azzardo è il mio nemico più pericoloso.
Nella vita, saper riconoscere l’avversario
contro cui si deve combattere è già
un bel passo avanti».
Oggi Pupo non si sottrae all’impegno
di testimonial contro il gioco d’azzardo
patologico: accetta inviti dove offre
il racconto di quello che ha passato
e pubblica libri. Nella speranza di evitare
che qualcuno si trovi sull’orlo di
un precipizio. «Una cosa posso garantire
alle persone che giocano: il loro destino
è la disfatta. Ecco, questo è quello
che vorrei avessero tutti in mente
quando si siedono al tavolo verde».