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lunedì 23 giugno 2025
 
parlano le assistenti sociali
 

Quale rapporto tra famiglie e servizi nei casi di affido e adozione di bambini con bisogni speciali

06/10/2023  È stato il tema di un recente seminario formativo organizzato dal Cisf e che ha dato vita a un dialogo intenso, competente, appassionato. Con un obiettivo condiviso: guardare al ben-essere del bambino e dell’adolescente

Il tempo, quello rapido dell’emergenza e quello infinito, inaccettabile, dell’attesa di un bambino. L’ascolto, così importante ma spesso trascurato. La formazione delle famiglie, a volte data per scontata. La rete dell’intervento pubblico, che può essere una risorsa straordinaria di collaborazioni oppure una maglia stretta in cui ogni anello si sente solo e impotente.

Sono solo alcune delle parole chiave emerse al seminario formativo organizzato dal Cisf in collaborazione con il Consiglio regionale degli Assistenti Sociali lombardi, che il 5 ottobre ha riunito professionisti, esperti e testimonianze per affrontare il tema “Adozione e affido di minori con special needs: il dialogo tra famiglia e servizi”.

 

E proprio dialogo è stato: intenso, competente, appassionato. Con un obiettivo condiviso: “Guardare al ben-essere del bambino e dell’adolescente, che è lo scopo fondamentale del nostro lavoro, come ‘essere bene’, cioè essere davvero un valore per tutta la comunità”, ha detto Simona Regondi, segretaria Croas Lombardia, nel suo intervento di apertura.

La complessità degli interventi che si realizzano intorno ai bambini in emergenza si chiarisce intorno all’ampio catalogo di situazioni che gli assistenti sociali incontrano nel loro quotidiano professionale: neonati non riconosciuti e lasciati in ospedale; minori stranieri non accompagnati; bambini con gravi patologie sanitarie; con genitori in stato di dipendenza da alcol e droga o che hanno patologie psichiatriche; bambini a rischio di violenza e molestie; bambini gravemente trascurati. Cristina Migliorini, assistente sociale nello staff che opera all’interno del Policlinico di Milano, ha ricordato che nel 2022 ci sono stati 338 minori segnalati all’interno dell’ospedale, attraverso la Scheda di rilevazione di rischio sociale, per i quali la rete dei servizi si è attivata trovando la soluzione più opportuna (comunità mamma-bambino, accoglienza familiare, comunità per minori, altre forme di accompagnamento). «Lavoriamo costantemente per conciliare un paradosso: mentre i tempi dell’ospedale devono essere necessariamente rapidi e tempestivi, questi bambini - e anche noi che prendiamo in carico le loro storie – hanno bisogno di tempo. Tempo perché una certa situazione si chiarisca, perché tutti siano ascoltati, perché i bisogni siano chiari, e di conseguenza anche le soluzioni».

Lo staff di assistenti sociali – sono in tutto 8 – in servizio all’ospedale opera facendo convergere le procedure di legge con la capacità di relazione umana e di attenzione ai bisogni: è stata allestita una ‘family room’ perché i genitori vivano una situazione semi-domestica ma garantita dalla vigilanza dei medici prima che il neonato con gravi patologie venga dimesso; è stato organizzato un volontariato “del marsupio” per i piccolissimi prematuri; per ogni situazione a rischio si opera allertando i servizi del territorio, in modo da garantire una continuità di accompagnamento.

E non dimenticano nessuna storia che hanno seguito, le assistenti sociali. Cristina Migliorini ricorda Marco, un neonato a cui è stata diagnosticata la sindrome di Franceschetti (quella del protagonista di Wonder), e che la giovane madre non si è sentita di poter accudire. Marco è stato cullato e coccolato da tutto il reparto per i suoi primi tre mesi, fino a quando è arrivata la coppia che lo avrebbe adottato. “E quello è stato un momento di enorme commozione per tutti noi che lavoravamo lì, e che conoscevamo la sua storia”, dice l’assistente sociale. Simona Regondi pensa invece alla piccola, nata con una disabilità gravissima e abbandonata in ospedale, di cui l’ente è stato l’affidatario fino alla morte, a cinque mesi. “Al suo funerale c’eravamo io e il sindaco”, ha spiegato, con profonda commozione. Storie terribili, ma anche storie bellissime, dove al centro deve stare “il superiore interesse del minore”, come dice la legge, e che nella realtà si traduce nel “migliore interesse per quel bambino specifico”.

Ciò che emerge dalle stesse testimonianze degli assistenti sociali, che spesso assistono impotenti, non sempre la rete di protezione funziona come dovrebbe: il cronico ritardo burocratico, i tempi d’attesa nell’apertura di un fascicolo o nell’ottenere una certificazione, sono tempi inaccettabili per un bambino in difficoltà. Il coinvolgimento della comunità è un’altra sfida, come ha rilevato la relazione di Vilma Castelli, assistente sociale coordinatrice di un servizio affidi: gli affidatari sono in diminuzione (per quanto si tratti di famiglie di grande impronta solidaristica), e sono sempre più spesso schiacciati dalla forbice generazionale di genitori anziani e figli ancora piccoli.

 

La voce delle famiglie è arrivata dalla testimonianza di Francesca Mineo, autrice del libro “Nessuno è perfetto, ma l’amore sì” (ediz. San Paolo), giornalista e mamma adottiva che ha raccontato la sua esperienza di adozione internazionale e ha fatto una riflessione sul concetto di “special need”. «Il catalogo dei bisogni speciali è noto, ma dobbiamo essere consapevoli che tutti i bambini sono portatori di un unico, enorme, bisogno speciale: quello della relazione d’amore con una famiglia», ha detto. La formazione e la consapevolezza delle famiglie che accolgono i minori sono fondamentali, ma lo è altrettanto il dialogo costante con i servizi, insieme alla certezza di non essere solo una “toppa” in una situazione di emergenza, ma anche una risorsa preziosa e da ascoltare e supportare: lo ha sottolineato Laura Ciapparelli, mamma affidataria che dal 2016 a oggi ha accolto 6 bambini molto piccoli in “pronta accoglienza”, ovvero in un affido breve e di emergenza in attesa di una soluzione di accoglienza stabile. Non sempre, però, le procedure sono rapide, né la voce della famiglia affidataria è ascoltata nei vari passaggi giudiziari, e tutto questo va a svantaggio del progetto di benessere del bambino.

 

Ed è sulla rapidità di tutela dei bambini che ha messo l’accento anche Marco Chistolini, psicologo esperto di affido e adozione: «L’affido è intrinsecamente una sfida complessa, su più piani: dovrebbe essere temporaneo, ma sappiamo che può prolungarsi all’infinito; chiede a due adulti di essere, di fatto, genitori di quel bambino ma di ricordare sempre che ha un’altra famiglia e che i suoi legami vanno salvaguardati. Tenere insieme queste dimensioni è un’impresa faticosissima, per questo la famiglia va seguita, accompagnata, sollevata se possibile da tante incombenze burocratiche, ascoltata quando c’è fatica, frustrazione, senso di solitudine. Vanno ascoltati i bambini stessi: tante volte si parla del loro caso, di cosa pensano gli adulti, ma nessuno ha provato a sentire il loro punto di vista».

Ancora, sui bambini accolti in adozione che arrivano dall’estero, la professoressa Milena Santerini, ordinaria di Pedagogia all’Università Cattolica di Milano ricorda altre complessità per le quali non solo l’accompagnamento in fase di formazione, ma anche nel post adozione è fondamentale. «Perché qualunque sia la cultura d’origine da cui provengono», ha spiegato, «La cultura dell’istituzionalizzazione è uguale dappertutto: pochissimo accudimento personale, una rigida standardizzazione degli orari di vita, incuria e a volte anche maltrattamenti. Questa è una complessità che le famiglie affrontano ogni giorno, insieme all’inserimento in un sistema scolastico e sociale non sempre accogliente».

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