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lunedì 11 novembre 2024
 
 

Quando arriva la diagnosi: come aiutare chi cura?

19/09/2014  Chi accudisce in famiglia un malato di Alzheimer ha bisogno di sostegno perché affronta una fatica enorme. Parla Silvia Vitali, geriatra presso l’Istituto C. Golgi di Abbiategrasso.

La scoperta di avere una persona cara malata porta con sé, oltre al dolore, la consapevolezza che la vita di chi lo assisterà non sarà più la stessa. Lo sanno bene le mogli, i mariti, i fratelli, le sorelle e i figli dei malati di Alzheimer che lentamente, nel progredire della malattia, vedranno il declino, la disabilità e la demenza sempre più inesorabile della persona cara. Ma anche un cambiamento della propria quotidianità, che da quel momento in poi dovrà adeguarsi ai ritmi del malato. Silvia Vitali, geriatra presso l’Istituto C. Golgi di Abbiategrasso, si occupa di cure della demenza, aiutata dalla psicologa Roberta Vaccaro. Insieme sottolineano l’importanza di sostenere anche i familiari del malato che si trovano a provare frustrazione, paura e tristezza.

- Quali sono le reazioni dei familiari quando scoprono che un proprio caro è affetto da Alzheimer?

«Per molti la reazione iniziale è la negazione e la falsa speranza che la cura possa risolvere i vari problemi. Per questo è importante che avvenga una corretta informazione da parte dei medici riguardo a cosa sta succedendo. C’è poi chi affronta la terribile diagnosi con un coinvolgimento eccessivo, rifiutando aiuti esterni e accentrando su di sé tutti i bisogni del malato. In questo caso, poiché è impossibile affrontare questa esperienza da soli, è meglio che alla persona vengano comunicati i servizi che potranno essere d’aiuto».

- Davanti a questa diagnosi si può provare anche un sentimento negativo come la rabbia?

«Certo. Capita quando ci si rende conto che i deficit della persona malata non sono facilmente compensabili e quando si comincia a sentire il carico emotivo e fisico che deriva dall’impegno di cura. Per capire e affrontare questa rabbia, che spesso ha all’origine anche conflitti irrisolti, possono essere utili i gruppi di mutuo aiuto o i gruppi di supporto. È poi necessario anche consigliare un’assistenza psicologica».

- Può insorgere, nella cura, anche il senso di colpa?

«Il senso di colpa dipende dalla rabbia irrisolta o dalla percezione di non competenza nella cura. Lo si prova anche quando il familiare decide di ricoverare il proprio congiunto malato, non riuscendo più ad accudirlo a casa. Colpa e rabbia conducono più spesso il familiare a uno stato depressivo e a condizioni di abuso».

- È davvero difficile accettare questa realtà...

«L’accettazione del problema presuppone una buona comprensione della malattia, del suo impatto sul malato e sul contesto di vita. La famiglia può essere aiutata ad accettare la malattia e le sue conseguenze attraverso il supporto emotivo, l’informazione e l’appoggio dei servizi»

- Perché è importante sostenere i familiari?

«A livello internazionale si sta ormai diffondendo la consapevolezza dell’importanza di personalizzare l’intervento di supporto a chi cura il malato. Sono ancora aperte le questioni sulla mancanza di uniformità degli interventi per quanto riguarda la durata, l’intensità e i costi. Tuttavia è ormai noto che la spesa sanitaria necessaria per realizzare il supporto dei caregiver è di gran lunga inferiore al costo sociale e sanitario per la cura delle conseguenze psicosociali e cliniche dello stress delle famiglie. Per questo la programmazione dei servizi per le persone affette da demenza si sta sempre più orientando in tal senso».

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Mi chiamo Mario e ho il morbo di Alzheimer
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