Dario Fo, Nobel per la letteratura nel 1997, morto all'età di 90 anni il 13 ottobre 2016. Artista eclettico ed istrionico, attivista, con Franca Rame aveva dato vita a un sodalizio umano e professionale che aveva rinnovato e pungolato la cultura italiana. In una delle sue ultime interviste a Famiglia Cristiana, aveva parlato di Dio, di papa Francesco, delle meraviglie del Creato, del Santo di Assisi per il quale provava un'ammirazione profonda.
Ecco il resoconto di quel colloquio.
23 marzo 2016
Il titolo del libro forse trae in inganno, perché potrebbe far pensare a un irriverente e poco modesto confronto fra un uomo – premio Nobel sì, ma pur sempre uomo – e Dio. Invece Dario e Dio, una lunga e vivace conversazione fra Giuseppina Manin e Dario Fo, edito da Guanda, è una riflessione sui temi del sacro che non diventa mai irrispettosa e che tira le fila di un interesse che non ha mai abbandonato l’opera dell’artista, da Mistero buffo fino a oggi, che compie 90 anni (esattamente il 24 marzo: auguri Maestro!).
Una cosa è certa: Dario Fo si dichiara ateo, e anche in questa intervista a Famiglia Cristiana ribadisce la sua posizione, ma è sempre stato intrigato e affascinato dalla religione, rivela un’appassionata, doppia ammirazione per Francesco – il santo e il Papa – e di fronte alla bellezza stupefacente del Creato ammette di andare in crisi e di chiedersi chi possa aver inventato tutto ciò, se Dio non esiste.
Come mai un ateo torna di continuo sui temi del sacro?
«Perché sono appassionato dalla cultura popolare e dai grandi poeti, che oggi non vengono mai ricordati, come Bonvesin de la Riva: questo mi ha portato a rispettare molto la fede della gente e soprattutto la sua spregiudicatezza. I soli che adoperano i Vangeli apocrifi per raccontare la storia di Gesù sono le compagnie popolari».
Ora ha citato gli Apocrifi, in generale però la sua idea del divino sembra radicata più nell’Antico Testamento...
«Certo. Quelle sono le pagine che più mi sorprendono e anche mi indignano. Parafrasando Bonvesin de la Riva: perché Dio ci ha creato peccatori? Non poteva farci perfetti? Viene il dubbio che la vita sia una commedia, in cui gli uomini sono gli attori».
Parla di Gesù come di un uomo straordinario, portatore di un messaggio d’amore che definisce eversivo.
«Viene sempre dall’attaccamento alla cultura popolare. Sono stato cresciuto da gente che raccontava di un Dio veramente uomo che non accetta la logica dell’obbedienza: Gesù secondo me è contro il dogma, ama la discussione».
Parlando della natura, dice: «Sono prodigi che mi mandano in crisi. Sconvolgono persino uno come me». E si chiede: da dove vengono, se Dio non esiste? Quale risposta si è dato?
«Sono ateo, ma lascio aperto il dubbio. L’idea di un amore realizzato in dettagli incredibili, come ad esempio gli insetti che cercano il fiore, il quale si è “truccato” per attirali, poi si uniscono e corrono via pieni di humus... È qualcosa di stupendo, paradossale e inspiegabile. E non può spiegarlo nemmeno la scienza, di cui peraltro sono fanatico. Per questo inorridisco di fronte alla distruzione della terra, un crimine orribile legato alla volontà di dominio».
Infatti ha speso parole di apprezzamento per la Laudato si’ di papa Francesco.
«Per me è una delle cose grandi di questo secolo. Lo posso dire con cognizione di causa, perché ho studiato a fondo la figura di san Francesco. Era un giullare prima di tutto, non voleva che la raccolta della carità della gente si trasformasse in una forma di potere. Ecco, Bergoglio parla il linguaggio del santo di Assisi, quello originario, non edulcorato e depotenziato nel corso dei secoli. Il Papa conosce bene il messaggio autentico di Francesco».
Per questo l’ha definito un Papa rivoluzionario?
«Lo è, e come tutti i rivoluzionari veri mette in gioco la propria vita, perché quello che ha intorno non è un bel mondo. Nell’enciclica dice una cosa meravigliosa: Dio ci ha dato gratuitamente delle cose, cose essenziali come l’acqua, l’aria, il sole, la terra. Come si può pensare di comprare l’acqua? L’acqua è di Dio: oggi siamo arrivati a rubare l’acqua a Dio, e ai poveri cristi. Il mondo è distrutto dall’avidità. E Bergoglio lo denuncia chiaramente, come san Francesco».
Da uomo di teatro, come giudica il suo modo di comunicare?
«Sa improvvisare: “Mi viene in mente questo perché voi me lo suggerite”, “Parlo di ciò che mi ha ferito poco fa”: gli immigrati, i disperati, il commercio del dolore, l’umiliazione dell’uomo».
Ha sostenuto la candidatura di Lampedusa al Nobel per la pace...
«È uno dei momenti più alti della civiltà occidentale: solo i poveri vanno incontro ai poveri. I ricchi no. Non ci indigniamo più. È un tempo in cui l’amore viene buttato alle ortiche».
Alle spalle della scrivania, nel suo studio milanese, sono appese molte foto, soprattutto di Franca Rame, la compagna di tante avventure e disavventure, sposata nel 1954 e morta nel 2013.
«Mi manca innitamente», dice con voce di colpo malinconica. «Me la sogno tutte le notti: compare e poi svanisce, così al risveglio mi rendo conto che è morta, ogni mattina di nuovo. Però avverto una presenza, forse perché è entrata nel mio cervello e abbiamo condiviso tanto, ma in certe occasioni sono sicuro che mi aiuta a superare le difficoltà».
Cosa ci aspetta dopo la morte?
«Sono legato alla scienza. Magari, chissà, c’è una spiritualità – quel mistero che distingue l’uomo dagli animali – che resiste, che evoca l’impossibile».
Ricorda la scommessa di Pascal? Vale la pena credere in Dio, perché, se anche non esistesse, ci saremmo comportati degnamente...
«Che ci sia o non ci sia, su un punto non ho dubbi: Dio è stato una grande invenzione, la più grande».