Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
martedì 17 settembre 2024
 
Dibattiti
 

Bei tempi quando compiti e calcio dei bambini non facevano notizia

12/10/2016  Siamo stati tutti bambini: abbiamo fatto malvolentieri i compiti di scuola e ci siamo rimasti male per aver fatto panchina nello sport. Non sarà che ora ci si preoccupa troppo?

Siamo stati tutti bambini, abbiamo fatto tutti sport con molto o scarso talento (statisticamente più con scarso), siamo andati tutti a scuola, abbiamo fatto compiti più o meno di lena (statisticamente più di malavoglia). Come i bambini di adesso abbiamo sognato di vincere e abbiamo avuto poca voglia di fare i compiti. Avevamo il vantaggio di andare a scuola meno ore (ma per chi viveva situazioni disagiate era uno svantaggio), avevamo lo svantaggio di avere minori opportunità (ma a volte era un vantaggio: non avevamo giornate piene come dirigenti d’azienda).  

Insomma ci succedeva, vent’anni fa, trent’anni fa, quarant’anni fa, quello succede ai nostri figli oggi, piccoli accidenti quotidiani: un voto bruttarello a scuola, una papera sul campo di calcio, un capriccio per non fare i compiti, una figuraccia a tennis da gestire. Di diverso c’era che queste minuscole questioni non facevano notizia: oggi invece leggiamo che un allenatore di squadre giovanili si dimette perché i suoi calciatori di 14 anni hanno padri troppo invadenti, che pretendono di decidere i minuti in campo del figlio e di metter bocca persino nel ruolo mentre i compiti delle vacanze e a casa sono un affare che tiene banco da settimane su facebook e di rimbalzo sui giornali.

Di diverso, osservandoli a posteriori, c’erano i nostri genitori. Non erano distratti, anzi. Non erano anaffettivi, anzi. Ma badavano al sodo: la scuola era la scuola e andava rispettata. Se pensavano che qualcosa non andasse, ne ragionavano tra loro, magari andavano a discuterne a scuola, faccia a faccia, ma a nostra insaputa, in modo che la scuola non uscisse ai nostri occhi esautorata. E comunque valeva il principio per cui se uno aveva un insuccesso scolastico la strada maestra per superarlo era studiare di più o studiare meglio e i compiti erano considerati il nostro dovere : generalmente sormontabile, al netto di qualche mugugno.  

Al nostro sport guardavano come a un divertimento sano: si andava per muoversi un po’ e secondariamente a imparare calcio, tennis, pallavolo o chissà che altro. L’agonismo era una scelta non un dovere. I più imparavano senza trovarsi le domeniche intrise di convocazioni e partite. E comunque, in caso di partita, mamma o papà ti accompagnavano, a volte si fermavano a tifare, il più delle volte semplicemente ad aspettare,  gettando un’occhiata distratta all’incontro, mentre parlavano di cose da adulti con altre mamme e altri papà.

Ne conseguiva che vincere, perdere, giocare o fare panchina non diventavano un affare di Stato e portavano una lezione da imparare con naturalezza, senza grossi traumi
: che lo sport (ma valeva anche per chi si dedicava alla musica)  è anche  una questione di talento e ciascuno ha il proprio. Accettare senza invidia e senza soffrirne eccessivamente che c’è uno più abile di te è un’esperienza utile alla vita (ce ne sarà sempre uno più alto, più bello, più intelligente, più talentuoso, più fascinoso, crescere immuni dal virus dell’invidia è un’assicurazione sulla serenità della vita). E comunque si imparava che impegnandosi si poteva migliorare un po’ e che, in ogni caso, ci si poteva divertire senza diventare campioni o concertisti e che nella vita non si può vincere sempre.

I nostri genitori erano migliori? Forse no. Erano diversi, figli di un mondo diverso, meno ansiogeno che dava ai figli qualche opportunità in più e non deviava tutto verso la competitività esasperata di ora, certo dettata dalle poche opportunità per tutti. Cambiare il mondo non possiamo, dobbiamo fare i conti con questo. Però chissà forse ripensare ogni tanto a com’erano i nostri genitori e a com’eravamo da bambini potrebbe aiutare a ridurre l’ansia. Anche quella dei bambini.

I vostri commenti
3

Stai visualizzando  dei 3 commenti

    Vedi altri 20 commenti
    Policy sulla pubblicazione dei commenti
    I commenti del sito di Famiglia Cristiana sono premoderati. E non saranno pubblicati qualora:

    • - contengano contenuti ingiuriosi, calunniosi, pornografici verso le persone di cui si parla
    • - siano discriminatori o incitino alla violenza in termini razziali, di genere, di religione, di disabilità
    • - contengano offese all’autore di un articolo o alla testata in generale
    • - la firma sia palesemente una appropriazione di identità altrui (personaggi famosi o di Chiesa)
    • - quando sia offensivo o irrispettoso di un altro lettore o di un suo commento

    Ogni commento lascia la responsabilità individuale in capo a chi lo ha esteso. L’editore si riserva il diritto di cancellare i messaggi che, anche in seguito a una prima pubblicazione, appaiano  - a suo insindacabile giudizio - inaccettabili per la linea editoriale del sito o lesivi della dignità delle persone.
     
     
    Pubblicità
    Edicola San Paolo