I Senatori hanno oggi una responsabilità enorme, nel voto sul cosiddetto DDL Zan contro l’omofobia, nella piena consapevolezza di quanto il Paese e l’opinione pubblica siano oggi divisi sull’argomento. Il dibattito di questi mesi ha svelato una vera e propria “montagna” di obiezioni al testo, anche da parte di soggetti al di sopra di ogni sospetto ideologico: movimenti femministi, giuristi di area progressista, associazioni di persone omosessuali, personaggi pubblici per anni bandiera della questione omosessuale hanno a più riprese evidenziato criticità, rigidità, veri e propri errori nell’impianto concettuale e nello stesso articolato del disegno di legge, chiedendo in tutti i modi – senza successo - di modificarlo. Qui ci limitiamo a ricordare tre punti critici cruciali.
Il primo riguarda la definizione “soggettiva” di identità di genere, che introduce un criterio assolutamente incerto e mutevole. Il comma d) dell’art. 1 definisce l’identità di genere come “l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”; ma così la definizione non è oggettiva, ma diventa sfuggente, impalpabile, oltre che mutevole nel tempo. Come è possibile ancorare sanzioni penali fino a 6 anni di carcere ad una “identificazione percepita”, fluida e soggettiva? Come farà il giudice a decidere? Come farà l’eventuale accusato a difendersi?
L’art. 4 a sua volta pone un gigantesco problema di libertà di parola, quando dice che “sono fatte salve la libera espressione… e le condotte legittime.. purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Ma se affermo in pubblico che per crescere bene un bambino ha bisogno di un papà e di una mamma, oppure che l’utero in affitto deve essere bandito come crimine contro l’umanità, con che criterio il giudice deciderà che si tratta di “libera espressione” oppure che “determina un concreto pericolo…”?
L’art. 7 infine, imponendo alle scuole la celebrazione di una giornata contro l’omofobia, costituisce un oggettivo grimaldello per quella “colonizzazione ideologica” del gender che anche papa Francesco ha più volte denunciato. È un tema di libertà educativa delle scuole, oltre che di titolarità educativa dei genitori.
Su questi tre punti l’inadeguatezza e la pericolosità del testo in discussione è stata ampiamente argomentata: per questo ci rimane incomprensibile chi continua ad affermare: “Il Ddl Zan va votato così com’è”. Questo è il tempo di una assunzione di una responsabilità personale, da parte di ciascun senatore, per fare la cosa giusta, ben oltre gli ordini di partito, ben oltre gli obiettivi politici strumentali. Basta ideologia, serve amore al bene comune.
* direttore Cisf (Centro internazionale Studi Famiglia)