Abbiamo commentato in famiglia la notizia della scuola media di Bergamo la cui dirigente scolastica ha deciso che i ragazzi, tra gli 11 e i 14 anni, quindi minorenni, dovranno essere prelevati dai genitori all’uscita da scuola. Proprio come i loro fratellini delle elementari. Ne è nata una discussione. Mia moglie ansiosa dice che è giusto e che se potesse andrebbe a prendere nostra figlia di 13 anni tutti i giorni (la ragazza è contraria e torna ormai a casa da scuola da sola sin dalla prima media). Ma anche io trovo che sia ridicolo. Come fanno a crescere questi ragazzi se continuiamo a trattarli come dei bambini piccoli?
DAVIDE
— Tema delicato, quello della vigilanza
del personale scolastico sui ragazzi.
Probabilmente un’interpretazione rigorosa
della legge darebbe ragione alla dirigente
scolastica di Bergamo. In base a essa,
un adulto non dovrebbe mai lasciare un
minore senza assistenza. Neanche quando
esce da scuola. Neppure una liberatoria dei
genitori verso la scuola potrebbe bastare
a scaricare dalle responsabilità insegnanti
e bidelli. Perché a nulla vale, se un allievo
si fa male mentre esce da scuola. Tutto
ciò si scontra però con il senso comune
e con la consuetudine, in cui si cerca di
educare all’autonomia attraverso
passaggi graduali di maggiore libertà
di movimento, in parallelo alla crescita
della responsabilità. È difficile dire
che cosa fare, perché la legge ha valore
vincolante. E manca un provvedimento
che disciplini questa materia. Penso però
che occorra dare ascolto anche al buon
senso. Esso prevede che i ragazzi vengano
gradualmente responsabilizzati. A partire
dagli undici/dodici anni i preadolescenti
iniziano ad andare e tornare da soli
dalla scuola, dall’oratorio, dallo sport.
Cominciano a stare a casa senza adulti
per periodi sempre più lunghi. E imparano
a badare a sé stessi quando papà
e mamma non ci sono. È necessario che
lo si faccia, senza paura da parte dei
genitori. In educazione non c’è spazio per
la paura: la virtù educativa per eccellenza
è la speranza, cioè la capacità di cogliere
il buono che c’è in ogni ragazzo, e farlo
crescere attraverso un esercizio attento
e ragionato. E la speranza così intesa non
può convivere con la paura e l’ansia di
chi è sempre apprensivo. Un eccesso di
paura alimenta atteggiamenti troppo
protettivi e rafforza i timori dei ragazzi.
Se è spaventato un adulto, come può non
esserlo un ragazzino? Ascoltiamo allora
il buon senso, come fa la dirigente della
scuola bergamasca, che alla fine riconosce
che «considerate le difficoltà organizzative
si procederà a una deroga iniziale», in vista
di un confronto più approfondito tra la
scuola e la famiglia. Cioè, e qui sta il
buon senso, nella ricerca di un’alleanza
tra genitori e scuola, che è l’unica strada
per continuare a educare.