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venerdì 13 settembre 2024
 
In famiglia
 

Quando il buon senso dice che si può andare a scuola da soli

18/10/2016 

Abbiamo commentato in famiglia la notizia della scuola media di Bergamo la cui dirigente scolastica ha deciso che i ragazzi, tra gli 11 e i 14 anni, quindi minorenni, dovranno essere prelevati dai genitori all’uscita da scuola. Proprio come i loro fratellini delle elementari. Ne è nata una discussione. Mia moglie ansiosa dice che è giusto e che se potesse andrebbe a prendere nostra figlia di 13 anni tutti i giorni (la ragazza è contraria e torna ormai a casa da scuola da sola sin dalla prima media). Ma anche io trovo che sia ridicolo. Come fanno a crescere questi ragazzi se continuiamo a trattarli come dei bambini piccoli?
 

DAVIDE

— Tema delicato, quello della vigilanza del personale scolastico sui ragazzi. Probabilmente un’interpretazione rigorosa della legge darebbe ragione alla dirigente scolastica di Bergamo. In base a essa, un adulto non dovrebbe mai lasciare un minore senza assistenza. Neanche quando esce da scuola. Neppure una liberatoria dei genitori verso la scuola potrebbe bastare a scaricare dalle responsabilità insegnanti e bidelli. Perché a nulla vale, se un allievo si fa male mentre esce da scuola. Tutto ciò si scontra però con il senso comune e con la consuetudine, in cui si cerca di educare all’autonomia attraverso passaggi graduali di maggiore libertà di movimento, in parallelo alla crescita della responsabilità. È difficile dire che cosa fare, perché la legge ha valore vincolante. E manca un provvedimento che disciplini questa materia. Penso però che occorra dare ascolto anche al buon senso. Esso prevede che i ragazzi vengano gradualmente responsabilizzati. A partire dagli undici/dodici anni i preadolescenti iniziano ad andare e tornare da soli dalla scuola, dall’oratorio, dallo sport. Cominciano a stare a casa senza adulti per periodi sempre più lunghi. E imparano a badare a sé stessi quando papà e mamma non ci sono. È necessario che lo si faccia, senza paura da parte dei genitori. In educazione non c’è spazio per la paura: la virtù educativa per eccellenza è la speranza, cioè la capacità di cogliere il buono che c’è in ogni ragazzo, e farlo crescere attraverso un esercizio attento e ragionato. E la speranza così intesa non può convivere con la paura e l’ansia di chi è sempre apprensivo. Un eccesso di paura alimenta atteggiamenti troppo protettivi e rafforza i timori dei ragazzi. Se è spaventato un adulto, come può non esserlo un ragazzino? Ascoltiamo allora il buon senso, come fa la dirigente della scuola bergamasca, che alla fine riconosce che «considerate le difficoltà organizzative si procederà a una deroga iniziale», in vista di un confronto più approfondito tra la scuola e la famiglia. Cioè, e qui sta il buon senso, nella ricerca di un’alleanza tra genitori e scuola, che è l’unica strada per continuare a educare.

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