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lunedì 27 marzo 2023
 
 

Quando il cristiano rischia la vita

11/04/2012  «Cristo è speranza e conforto per le comunità provate a causa della fede da discriminazioni e persecuzioni», ha detto il Papa a Pasqua. Dal Pakistan alla Nigeria, ecco chi e dove.

Le «campagne speciali» organizzate nello scorso anno in Terra Santa e in Pakistan dalla Fondazione vaticana Aiuto alla Chiesa che soffre sono la concreta testimonianza di due fra le più difficili situazioni che i cristiani si trovano a vivere oggi. Da un lato l’emigrazione per mancanza di lavoro, che a Nazaret e a Betlemme è divenuta drammatica, in una Cisgiordania ormai fortemente islamizzata. Dall’altro il rigore della legge anti-blasfemia che viene pretestuosamente utilizzata dagli integralisti contro i cristiani locali, come documenta il caso di Asia Bibi.

Ma anche diverse altre Chiese, in particolare del Medio e dell’Estremo Oriente, continuano ad affrontare quotidianamente persecuzioni e violenze, che hanno motivato le tristi parole di Benedetto XVI nell’Angelus dello scorso 26 dicembre: «Come nell’antichità, anche oggi la sincera adesione al Vangelo può richiedere il sacrificio della vita, e molti cristiani in varie parti del mondo sono esposti a persecuzione e talvolta al martirio». Una particolare vicinanza ribadita a Pasqua. «Cristo è speranza e conforto in modo particolare per le comunità cristiane che maggiormente sono provate a causa della fede da discriminazioni e persecuzioni», ha ricordato papa Benedetto XVI domenica 8 aprile, affermando che il Signore Risorto «è presente come forza di speranza mediante la sua Chiesa, vicino ad ogni situazione umana di sofferenza e di ingiustizia». 

Le cifre parlano chiaro. Secondo il dossier dell’Agenzia delle Pontificie opere missionarie Fides, sono stati 26 gli operatori pastorali cattolici assassinati nel corso del 2011, uno in più rispetto all’anno precedente: 18 sacerdoti, 4 religiose e altrettanti laici. Ben 15 degli uccisi erano impegnati in America Latina (7 in Colombia, 5 in Messico, 1 in Brasile, Nicaragua e Paraguay), altri 6 in Africa (2 in Burundi e 1 in Congo, Kenya, Sud Sudan e Tunisia), 4 in Asia (3 in India e 1 nelle Filippine) e 1 in Europa (in Spagna). Complessivamente, nel decennio 2001-2010, il totale degli operatori pastorali uccisi è stato di 255 persone.

Spiegano i curatori della ricerca: «Alcuni sono stati vittime di quella violenza che combattevano o della disponibilità ad aiutare gli altri mettendo in secondo piano la propria sicurezza. Anche quest’anno molti sono stati uccisi in tentativi di rapina o di sequestro finiti male, sorpresi nelle loro abitazioni da banditi o da giovani sbandati che magari avevano aiutato in precedenza, alla ricerca di facili bottini. Altri ancora sono stati eliminati perché, nel nome di Cristo opponevano l’amore all’odio, la speranza alla disperazione, il dialogo alla contrapposizione violenta, il diritto al sopruso».

E, purtroppo, aggiungono: «Agli elenchi provvisori stilati annualmente dall’Agenzia Fides, deve sempre essere aggiunta la lunga lista dei tanti di cui forse non si avrà mai notizia, o addirittura di cui non si conoscerà il nome, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano con la vita la loro fede in Cristo. Si tratta di quella “nube di militi ignoti della grande causa di Dio” – secondo l’espressione di Giovanni Paolo II – che va dal ministro pakistano per le Minoranze, Shahbaz Bhatti, primo cattolico a ricoprire tale incarico, impegnato per la pacifica convivenza fra le comunità religiose del suo Paese, ucciso il 2 marzo, al giovane nigeriano che svolgeva ad Abuja, presso la chiesa di Santa Teresa, il servizio di  vigilanza per proteggere i luoghi di culto nel giorno di Natale, ucciso da un attentato insieme ad altre 35 persone».

Saverio Gaeta

«Una delle pagine più struggenti del Cristianesimo del Duemila». Così Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio e ministro per la Cooperazione e l'Integrazione, definisce la storia di Shahbaz Bhatti, il ministro per le minoranze del Pakistan ucciso il 2  marzo del 2011. Bhatti aveva 42 anni  e fu ucciso a bordo della sua auto, mentre attraversava  il centro di Islamabad. Bhatti girava senza scorta, era un bersaglio facile per i suoi killer. Bhatti era un esponente della piccola comunità cattolica del Pakistan.

Amava il suo Paese e credeva nella convivenza pacifica fra le varie religioni e le diverse etnie di un paese dagli equilibri complessi. «E' stato un politico, un grande federatore di fronte al mondo tanto diviso delle minoranze. Lottava e sognava  un futuro diverso  con una passione tutta evangelica», aggiunge Riccardi. Queste riflessioni di Riccardi si possono leggere nella prefazione alla biografia di Bhatti, pubblicata in queste settimane dalle Paoline: Shahbaz Bhatti, vita e martire di un cristiano in Pakistan (170 pagine, 14 euro).

Il libro è stato scritto da Roberto Zuccolini (giornalista del Corriere della Sera) e da Roberto Pietrolucci (funzionario del ministero dell'Interno, responsabile della Comunità di Sant'Egidio in Pakistan). Ricca di documenti (compreso il bellissimo testamento spirituale), di fotografie e di testimonianze dirette, la biografia ripercorre le tappe principali della vita di Shabbaz Bhatti senza perdere mai di vista il contesto geografico, politico e religioso nel quale ha agito.

Nato a Lahore il 9 settembre del 1968 da una famiglia cristiana, in un villaggio che gli autori definiscono «un'isola felice» tollerante e multireligiosa, Bhatti fin dall'adolescenza  sentì la vocazione di porsi «al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo Paese islamico».

Questa vocazione lo ha portato alla fondazione dell'Apma (un movimento  nel quale le minoranze del Pakistan faranno fronte comune per difendere i loro diritti), all'impegno nell'assistenza alle vittime del disastroso terremoto del 2005, all'elezione in Parlamento e, nel novembre del 2008, alla carica di ministro per le minoranze.

«Nel ricostruire la sua figura», spiega Roberto Zuccolini, «mi ha colpito la saldatura fra la sua vocazione alla difesa dei deboli e delle minoranze e l'impegno politico. Un impegno che ha portato ad ottenere risultati molto concreti: la proclamazione di una giornata nazionale delle minoranze, le quote riservate in Parlamento per gli esponenti delle minoranze, l'assistenza religiosa nelle carceri». Ora l'eredità di Shahbaz Bhatti è stata raccolta dal fratello Paul, divenuto consigliere speciale del primo ministro per le minoranze.

Roberto Zichittella

L'ultima, in ordine di tempo, è una buona notizia. La riporta l'agenzia di stampa Fides e fa  tirare il fiato. Le Suore della Presentazione, una congregazione di origine irlandese con tre comunità in Pakistan, hanno ripaerto una scuola femminile situata nella valle di Swat, nella provincia di Khyber, al confine con l’Afghanistan. L’evento «è motivo di grande gioia e speranza per tutta la Chiesa in Pakistan», ha confidato suor Riffat Sadiq, preside di una scuola superiore gestita dalle religiose nel Punjab, «ed è un segno di Resurrezione».

La scuola di Swat era stata distrutta da un attentato compiuto nel 2008 dai talebani, che allora controllavano militarmente parte della provincia, imponendo una rigida osservanza della sharia. I talebani presero di mira soprattutto le scuole femminili, distruggendone diverse e costringendo molti istituti pubblici e privati a chiudere.  Dopo alcuni anni, e dopo un'imponente operazione dell’Esercito regolare pakistano per restaurare lo stato di diritto nella valle di Swat, l’area è stata liberata dalle milizie talebane e le popolazioni locali hanno gradualmente ripreso la loro vita normale. Di pari passo anche le attività educative pubbliche e private hanno iniziato a rifiorire.

«Come congregazione ci siamo consultate e abbiamo deciso di tornare ad essere presenti, con il nostro impegno nel campo dell’istruzione, in un’area popolata da musulmani e tribali», ha spiegato a Fides suor Riffat Sadiq. «Abbiamo dunque restaurato il collegio e provveduto alla riapertura, per continuare la nostra missione. Nella scuola vi sono già tre suore e oltre 80 bambine iscritte, che saranno seguite dalla scuola elementare fino alla scuola superiore. Siamo molto felici di aver potuto riportare una testimonianza cristiana di sviluppo ed istruzione in un contesto così difficile».

Le 80 bambine vengono tutte da famiglie povere, musulmane tribali, e l’istruzione garantita dalle religiose cattoliche, coadiuvate da insegnanti locali, viene molto apprezzata. Le Suore della Presentazione sono presenti nel subcontinente indiano da oltre 100 anni e, all’inizio, furono chiamate dall’impero britannico per provvedere all’istruzione dei figli dei militari inglesi. Dopo la separazione fra India e Pakistan (1947) sono rimaste in entrambi i Paesi. In Pakistan sono presenti in tre province, (Sindh, Punjab, Khyber), dove circa 35 religiose, oggi quasi tutte pakistane, portano avanti scuole e collegi.

Questa notizia incoraggiante segue di pochi giorni l'ennesima denuncia di violenze e persecuzione. E' successo sul finire di marzo, a Karachi. «La popolazione cristiana è terrorizzata: aumentano le incursioni violente, diurne e notturne, di gruppi di estremisti islamici a Essa Nagri, un sobborgo della città», ha scritto l'agenzia di stampa Fides. «Nel quartiere, densamente popolato, vivono circa 50.000 cristiani, in condizioni di estrema povertà e nella mancanza di servizi di base». Secondo fonti locali, a Essa Nagri vi sono circa 15 chiese di varie denominazioni: cattolica, presbiteriana, pentecostale, avventista del Settimo Giorno, Esercito della Salvezza e altre. Nell’area operano anche diverse Ong con progetti di istruzione, sostegno sociale ed economico alla comunità. Fra queste, l’Ong “Mission and Action for Social Services” (Mass), che ha reso noto d'aver presentato una denuncia ufficiale alla polizia, perché negli ultimi mesi sono cresciuti a ritmo vertiginoso gli attacchi di militanti islamici contro le famiglie del quartiere.

Come riferito a Fides, fanatici musulmani entrano in Essa Nagri impugnando pistole e mitragliatrici, saccheggiano le case e commettono violenze di ogni tipo contro famiglie indifese. Rubano, estorcono denaro dicendo che devono riscuotere la “Jizya” (la tassa imposta, secondo la sharia, sulle minoranze non musulmane), percuotono vittime innocenti, abusano delle donne per puro divertimento. L’Ong “Mass” afferma di aver chiesto alle autorità di “prendere provvedimenti contro questi terroristi”. Il fenomeno era stato già segnalato dal parlamentare cattolico del Sindh, Michael Javed  che aveva parlato di “stupri e torture di donne e bambini cristiani” nei sobborghi di Karachi.

Le notizie riportate da Fides hanno risvolti raccapriccianti: «Nei giorni scorsi, una donna cristiana di Essa Nagri ha raccontato scioccata: “Uomini armati e ubriachi hanno fatto irruzione nella mia casa e hanno violentato le mie due figlie sotto i miei occhi. Chi ci protegge?”. Vi sono anche numerosi casi in cui i militanti hanno rapito le ragazze cristiane, costringendole al matrimonio e alla conversione all’Islam».

Tutto ciò accade in Pakistan, Paese in cui dal 2009 la cristiana Asia Bibi vive  nell'angoscia: accusata sbrigativamente di blasfemia è stata condannata a morte. La sua storia ha mobilitato comunità cristiane in tutto il mondo, ha portato numerosi Governi a fare passi ufficiali e ha registrato l'intervento del Papa.

Alberto Chiara

L'ultima strage il giorno di Pasqua, a Kaduna, con un'autobomba fatta esplodere nei pressi di una chiesa affollata di fedeli. Almeno 50 i morti (la "copertina" di questo servizio riguarda appunto una delle vittime) , moltissimi i feriti. L'offensiva di Boko Haram, la setta islamica nigeriana che oggi, forse, è il più spietato tra i persecutori di cristiani, non si ferma e il governo nigeriano non riesce a fermarla.

Boko Haram, d'altra parte, da molto tempo ha dichiarato a chiare lettere il proprio intento: ottenere l’instaurazione della shar’ia (legge islamica) in tutti i 36 Stati che formano la Nigeria. La chiedeva sotto la guida del fondatore, Ustaz Mohammed Yusuf (catturato nel 2009 e poco dopo ucciso durante un tentativo d'evasione dal carcere) e la chiede adesso che il capo è Mallam Sanni Umaru. Da notare che l’ascesa del gruppo è avvenuta proprio nei primi anni Duemila, cioè quando la shar’ia è stata introdotta in 12 Stati della Nigeria: in 9 a pieno titolo, in altri 3 con validità solo per le aree con popolazione in maggioranza musulmana. E dal 2004, cioè da quando Boko Haram da gruppo religioso estremista si è trasformato in esercito stragista, il tema è diventato per la setta una vera ossessione.

Si calcola che dal 2005 a oggi Boko Haram (che alla lettera significa "L'educazione occidentale è peccato") abbia ucciso almeno 1.500 persone tra semplici cittadini (in gran parte cristiani), soldati e poliziotti. La sua forza, oltre che nella spietatezza, sta nel forte radicamento nelle regioni del Nord (dove la popolazione musulmana è prevalente), nell'inefficienza del Governo centrale nigeriano e, da un paio d'anni almeno, nell'alleanza stipulata con i gruppi dell'Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb Islamico).

Si tratta della versione nordafricana del movimento fondato da Osama Bin Laden. Per molti anni ha colpito in Algeria. Poi, incalzata dalla reazione dell'esercito algerino, si è lentamente spostata verso Sud (è attiva anche in Mali, dove affianca alcune frange del movimento indipendentista dei Tuareg) fino a raggiungere appunto la Nigeria dove si è alleata con Boko Haram. La setta offre protezione e aiuto ai transfughi di Al Qaeda i quali, dal canto loro, mettono a disposizione la propria esperienza terroristica. Non a caso negli ultimi tempi le tecniche di Al Qaeda hanno reso ancor più imprevedibili e micidiali gli attentati contro i cristiani.

 

 
 
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