Mi capita abbastanza spesso di ascoltare persone che mi parlano di relazioni difficili, relazioni che sembrano, almeno in apparenza, relazioni di amicizia, ma che in realtà arrecano molta sofferenza, non in maniera estemporanea, quanto piuttosto con una certa persistenza, ripetizione e ciclicità.
Ho raccolto queste sensazioni anche dialogando con religiose o religiosi che vivono situazioni simili all’interno delle loro comunità. Un altro contesto dove si verificano queste dinamiche è il luogo di lavoro, tra colleghi, o nel rapporto con il proprio responsabile. Queste relazioni, che ci lasciano la sensazione di essere usati o umiliati o che provocano in noi sentimenti di tristezza e a volte persino di angoscia, sono relazioni che possiamo definire tossiche.
È, infatti, come se ingerissimo del veleno ogni volta che stiamo in quel rapporto. Come ben sappiamo, a furia di ingerire il veleno, prima o poi si muore. È necessario, pertanto, evitare di continuare a nutrirsi di questo cibo avvelenato. A volte continuiamo a farlo perché non ce ne accorgiamo oppure perché pensiamo che sia colpa nostra, oppure perché abbiamo paura di rimanere soli, di essere giudicati.
A volte rimaniamo in quella relazione tossica anche perché l’altro ci fa credere che abbiamo bisogno necessariamente di lui; in altri casi possiamo essere addirittura portati a pensare che il nostro compito sia di salvare l’altra persona, e perciò ci immoliamo, illudendoci di fare del bene all’altro, ma in realtà stiamo facendo del male a entrambi.
Da queste brevi indicazioni è abbastanza chiaro che il primo passo è quello della consapevolezza. Se ogni volta che condivido del tempo con quella persona sto male e se questa sofferenza mi accompagna anche nei momenti successivi all’incontro, lasciandomi triste e angosciato, ho bisogno di allontanarmi.
Purtroppo, molte di queste relazioni tendono a diventare croniche, perché probabilmente sono nate inizialmente da un incastro, cioè da un bisogno reciproco.
Il secondo passo è riconoscere che merito di essere felice: pertanto farò quello che è necessario, senza sentirmi in colpa e senza la paura del giudizio. Il terzo passo è però anche quello di riconoscere le dinamiche che mi hanno portato dentro quella relazione, in modo da approfittare di quanto è avvenuto per diventare più forte e più capace, ed evitare soprattutto che queste situazioni possano ripetersi.