Gli atei di oggi sono un po’ come le stagioni: non ci sono più quelli di una volta. Ma ve l’immaginate un Nietzsche, un Baudelaire o un Oscar Wilde fondare un’associazione per l’ateismo militante, attaccare manifesti 6x3 in giro per le città che recitano: “La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno” e organizzare iniziative per lo “sbattezzo” che prevede la cancellazione del proprio nome dai registri parrocchiali per dimostrare che gli atei in Italia sono molti di più di quanto dicano le cifre ufficiali? Da tragico, insomma, l’ateismo è diventato un po’ ridicolo.
Prendiamo l’agguerritissima Uaar (Unione degli atei agnostici razionalisti): da anni si sono organizzati per lottare contro l’oscurantismo e l’ignoranza portata delle religioni, soprattutto quelle organizzate come il cattolicesimo, e per affermare la piena laicità dello Stato. Uno dei loro bersagli preferiti, oltre all’abrogazione dell’articolo 7 della Costituzione che recepisce i Patti Lateranensi e l’eliminazione del Crocifisso nelle scuole, sono i fondi che arrivano alla Chiesa cattolica (e non solo) tramite il meccanismo dell’otto per mille. Battaglia legittima, per carità. Nel 2007, i Nostri hanno pure lanciato in pompa magna una campagna informativa ribattezzata “Occhiopermille”: «Quale associazione impegnata nella difesa della laicità delle istituzioni», si legge sul sito, «l’Uaar ritiene che sia suo dovere aiutare la cittadinanza a effettuare una scelta autonoma e consapevole». Tutto normale. Ognuno fa le battaglie che vuole.
Forse, però, all’Uaar si sono persi un passaggio. Correva l’anno 1996 e gli atei organizzati presentavano un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per chiedere di essere riconosciuti come confessione religiosa, al pari ad esempio di Valdesi, Avventisti del settimo giorno, comunità cristiane evangeliche ed ebraiche. Obiettivo: battere cassa allo Stato per poter partecipare, come associazione riconosciuta, al meccanismo di ripartizione del tanto vituperato otto per mille.
Le motivazioni presentate nel ricorso, consultabile sul sito dell’Uaar, sono tutte da leggere. «L'obiettivo primario del movimento umanista non è di attaccare le religioni, ma di creare una positiva alternativa al teismo», scrivono. Poi sostengono che l’UAAR «può essere omologata alla chiesa cattolica, all'Unione delle comunità israelitiche, alle comunità induiste, ecc. Omologia non significa affinità, tuttavia è fondamentale ribadire questa omologia fra scelte filosofiche, essendo solitamente negata o travisata».
Ma come? Se lottano contro le religioni perché pretendono di definirsi una religione? «Un'unione di atei», argomentano, «non è né una società sportiva né un partito politico né può essere qualcosa di diverso da una associazione con fine di religione, la qual cosa è ampiamente riconosciuta dalla dottrina. La qualità oggettiva di associazione religiosa di ogni gruppo di ateismo militante è rafforzata dall'autointerpretazione effettuata dai soci all'interno della loro libertà di associazione: e l'Uaar, come si è detto, si interpreta come religione». Quantomeno per fare “concorrenza” alle religioni vere: «Una associazione di ateismo attivo in tanto ha ragione di esistere in quanto possa proporsi di rappresentare un'opinione in materia di religione concorrente con quella delle religioni “positive”».
Per fare concorrenza alle religioni, però, ci vogliono i quattrini. Ed ecco che verso la fine del lungo testo del ricorso stringi stringi si arriva proprio a quello: «Il diniego alla richiesta di intesa presentata dall'Uaar costituisce una disparità di trattamento dell'associazione ricorrente nei confronti delle altre confessioni religiose, impedendo che l'Uaar sia ammessa ai benefici che derivano dalla stipulazione di un'intesa». Di quali benefici si tratta? «Vantaggi», si legge nel ricorso, «di tipo patrimoniale (attribuzione dell'otto per mille del gettito IRPEF, deducibilità delle erogazione liberali dei fedeli fino a due milioni di lire) e non patrimoniali (accesso al servizio radiotelevisivo pubblico e riserva di frequenze; insegnamento dottrinale su richiesta nelle scuole pubbliche) per cogliere quanto questi strumenti possano essere discriminatori nei confronti degli atei, qualora non fossero messi a disposizioni anche delle associazioni di atei».
Alla fine ecco la richiesta: «L’Uaar, in quanto confessione religiosa ai sensi dell’art. 8 c. III Cost., risulta titolare di tale interesse, e l’atto che lo lede non può in conseguenza considerarsi atto politico. In considerazione di tutti i suesposti motivi, la ricorrente Unione degli atei e degli agnostici razionalisti chiede che il Sig. Presidente della Repubblica voglia procedere all’annullamento dell’atto del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, n. DAGL 1/2.5/4430/23, del 20 febbraio 1996, che respinge l’istanza di intesa ai sensi dell’art. 8 c. III Cost., presentata dalla ricorrente».