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martedì 11 novembre 2025
 
agli onori dell'altare
 

Quando la missione è donna: la nuova beata Pauline Jaricot

20/05/2022 

Viene beatificata domenica 22 maggio, a Lione, Pauline Jaricot (1799 – 1862), la fondatrice dell’Opera di Propagazione della Fede, prima e più importante tra le opere missionarie poi riconosciute come Pontificie. Donna coraggiosa, Pauline aveva scelto di rinunciare all’agiatezza in cui era nata per vivere, nella semplicità più assoluta, l’adesione radicale al Vangelo. «Ascoltò le testimonianze dei missionari e ne restò colpita, al punto di volerli accompagnare» racconta don Giuseppe Pizzoli, direttore nazionale Pontificie Opere Missionarie. «Non fisicamente, cosa che non sarebbe stata possibile a quell’epoca, ma scegliendo un modo diverso, in linea con il proprio tempo, eppure anche molto innovativo». Così, nel 1822, Pauline diede vita all’Opera di Propagazione della Fede. «All’epoca i missionari venivano sostenuti solo dalla propria congregazione, da parenti e amici o tutt’al più da qualche benefattore. Jaricot ebbe invece l’intuizione di dare al proprio impegno personale una dimensione comunitaria, ecclesiale». Iniziò fondando piccoli circoli che, in breve tempo, si espansero a macchia d’olio. L’idea era semplice: ogni membro era invitato non solo a sostenere i missionari con la preghiera e con contributi economici (ciascuno secondo le proprie possibilità), ma anche a coinvolgere nel gruppo altre dieci persone. «Una specie di “reazione a catena”» la definisce don Pizzoli. Fu una scelta coraggiosa quella di Pauline, in una Francia post-rivoluzionaria, segnata da una radicale e diffusa ostilità verso Chiesa e cristianesimo. «Un dono dello Spirito. Sì, perché, da sempre, quando la Chiesa è in difficoltà, ritrova il suo slancio e il suo dinamismo nella dimensione missionaria».

Cent’anni più tardi (era il 1922) Papa Pio XI riconobbe come “Pontificia” l’opera fondata da Pauline Jaricot (insieme con altre due). «Non fu solo una questione giuridica» sottolinea don Pizzoli. «Il Vaticano riconobbe come profetica questa forma di partecipazione popolare della comunità cristiana alla missione. L’iniziativa nata da una persona laica, in un preciso contesto storico-geografico, divenne una proposta pastorale valida per tutta la Chiesa. Erano tempi di profonde riflessioni: la Chiesa iniziava a porsi domande sulla propria dimensione missionaria, iniziava quel movimento di rinnovamento destinato, alcuni decenni più tardi, a confluire nella grande svolta del Concilio Vaticano II».

Altri cent’anni sono passati, e in questo 2022, denso di ricorrenze, le Pom (cioè, appunto, Pontificie Opere Missionarie) sono chiamate a un ulteriore rinnovamento, pur nella fedeltà ai valori di sempre. Globalizzazione e società sempre più secolarizzata aprono la porta a sfide inedite. «Penso che oggi, il valore più grande sia quello di mantener viva, anche nelle più piccole comunità cristiane, la coscienza di essere Chiesa universale» osserva il Direttore. «Questa consapevolezza ci aiuta a evitare la tentazione del campanilismo, a non pensare che i nostri problemi siano quelli del mondo». Aprirci a una dimensione più ampia non può che farci bene. «In Italia veniamo da secoli di sostanziale sintonia fra fede, cultura e tradizione. Oggi non è più così. Ecco perché vedere come si vive la fede in Paesi dove il cristianesimo è esigua minoranza ci dà fiducia, voglia di rialzarci e camminare, anche nel vento contrario».   

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