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mercoledì 09 ottobre 2024
 
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Se le droghe "leggere" si rivelano pesanti

06/08/2015  I risultati di una complessa inchiesta della Dda dell'Aquila su un traffico di stupefacenti destinati alla movida di lusso svela un flusso che associa alla "tradizionale" cocaina, marijuana non convenzionale e hashish altamente tossico.

Ancora riviera adriatica ma più a Sud, Pescara e dintorni, ancora movida, ancora stupefacenti. Una storia che potremmo definire complementare a ciò che abbiamo raccontato fin qui, a proposito di pasticche letali acquistate via Internet. Emerge da un'indagine complessa coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia dell'Aquila e materialmente culminata nei giorni scorsi in una quindicina di arresti e perquisizioni eseguiti dai Carabinieri del Noe tra Abruzzo, Marche e Sicilia, a seguito di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip dell’Aquila. Tra le operazioni anche un maxisequestro di quasi un quintale di stupefacenti, tra cocaina di qualità elevatissima, hashish altamente tossico (anche dieci volte più dello standard medio sulla piazza) e marijuana coltivata con procedure non convenzionali, roba che in altre zone abbiamo sentito chiamare amnèsia, ma nota sul mercato clandestino anche come kalashnikov, tuberon, orange bad, lemonades, e con altri nomi che travestono di fantasia uno sballo dagli effetti potenzialmente devastanti.

Una storia complementare, si diceva, perché non stiamo parlando, in questo caso, di pasticche distribuite a quattro soldi su Internet, ma di una filiera di stoccaggio e spaccio di sostanze "tradizionali" (ma fino a un certo punto)  in vendita a prezzi elevati, che coinvolge incensurati - il garage in cui è stata trovata la roba, è risultato in affitto a una coppia di fidanzati senza precedenti penali - e che, per il costo e per le strategie adottate fa pensare a una clientela facoltosa.

Al momento risultano 27 persone indagate a vario titolo per traffico di stupefacenti, favoreggiamento, ricettazione e intestazione fittizia di beni. La strategia prevedeva che per il trasporto ci si servisse di auto e moto di lusso (tra i mezzi sequestrati suv Range Rover, moto Harley Davidson e persino una Porsche risultata intestata a un’ignara zia ottuagenaria) e che per lo spaccio, per così dire al dettaglio, si utilizzassero come basi mobili auto che venivano parcheggiate con a bordo gli stupefacenti e, poi, spostate dal “rivenditore” in base alle direttive ricevute, per eseguire materialmente le consegne ai clienti, il più delle volte in parcheggi strategicamente vicini a stabilimenti balneari e locali notturni.

Anche in questo caso le auto non erano scelte a caso: Mini Cooper, Smart, come le prime, adatte a mimetizzarsi tra quelle dei frequentatori abituali della movida di lusso, perfette per non stonare nei parcheggi di locali costosi e alla moda.  

L'inchiesta, che ha trovato impulso dalle dichiarazioni riscontrate di un esponente di una famiglia nota a chi indaga nella malavita pescarese, coinvolge solo italiani, anche insospettabili – di qui il nome dato all’indagine “i soliti ignoti” -  impiegati ufficialmente in attività economiche regolari, ma che troverebbero in realtà nel giro di stupefacenti la loro principale fonte di sostentamento e, da un lato, conferma la faccia tradizionale dello spaccio, se pure con metodi singolari per la particolarità del contesto, non soppiantata ma soltanto affiancata dalla concorrenza dell'acquisto su Internet. Dall’altro, mostra quanto sia labile, nell'era delle sostanze sintetiche ma anche di quelle tradizionali artificialmente potenziate con additivi sintetici o coltivate con metodi non convenzionali, la distinzione, su cui fanno leva i sostenitori della legalizzazione, tra droghe pesanti e “leggere”: tra marijuana trattata non si sa bene come e hashish dal principio attivo decuplicato, le virgolette - d'obbligo - sono ben più che una necessità stilistica.   

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