E' ormai dimostrato che l’esercizio
fisico previene l’insorgenza
e lo sviluppo di molte malattie,
dal diabete all’osteoporosi, dai
tumori all’ipertensione, migliorando
anche il benessere psicologico e il tono
dell’umore. Non a caso, l’Organizzazione
mondiale della sanità raccomanda almeno
150 minuti alla settimana di attività
moderata (o 75 di pratica vigorosa)
in sessioni di almeno dieci minuti per
volta: non è necessario iscriversi in palestra,
piscina o altra struttura sportiva
per rispettare questi “tempi”, perché la
maggior parte delle aree urbane dispone
di parchi, aree verdi o zone pedonali
dove è possibile camminare, correre,
giocare a tennis o a pallone.
«Lo sport può essere utilizzato alla
pari di un farmaco, ma esattamente come
nei medicinali un eventuale sovradosaggio
oppure l’uso scorretto possono determinare effetti collaterali a breve
e lungo termine», avverte il dottor Lucio
Genesio, specialista in Medicina dello
sport presso l’Unità operativa di riabilitazione
ortopedica e sportiva dell’Ospedale
Humanitas Gavazzeni di Bergamo
(www.humanitasgavazzeni.it). «Il movimento
infatti sottopone l’organismo
a un certo grado di stress, meccanico e
metabolico, che va affrontato con le dovute
precauzioni e la corretta gradualità:
frequenza, intensità e tipologia di
esercizio dipendono dallo stato di salute
generale e dal livello di allenamento,
senza voler esagerare né strafare».
In caso contrario, anziché beneficiare
dello sport, si rischia di incorrere in patologie
da sovraccarico, talora acute, come
stiramenti e distorsioni, o più sovente
croniche, come le tendinopatie. Le
cause? Potrebbe essere colpa di un’attrezzatura
sbagliata (per esempio, un
paio di scarpe non adatte alla corsa), di
un’eccessiva sollecitazione sulle articolazioni che manifestano già qualche problema
oppure di un eccessivo affaticamento,
magari dopo mesi di inattività.
Non tutti sono uguali
Prima di iniziare, è importante sottoporsi
a una visita medico-sportiva per personalizzare
l’attività in base alle proprie
caratteristiche costituzionali e alla preparazione
atletica di base: lo screening è
importante anche quando si vuole intraprendere
uno sport di base, come la corsa o il ciclismo, in quanto gli stessi
movimenti vengono reiterati innumerevoli
volte, con il rischio di sviluppare (se
ci sono fattori predisponenti) una patologia
prima infiammatoria e poi addirittura
degenerativa.
Ciascuno sport infatti stimola il corpo
in modo diverso e può essere adatto
o meno al proprio stato di forma. «I
pazienti cardiopatici, ad esempio, dovranno
evitare la pratica delle attività
prevalentemente anaerobiche, ovvero
scatti, lanci e tutti gli sport che richiedono
uno sforzo intenso in un breve lasso
di tempo e possono sottoporre il cuore
a rischio», suggerisce lo specialista. Per
questi soggetti, è consigliata invece la
pratica di attività aerobiche, quali camminate,
bicicletta, sci di fondo e nuoto
(a bassa intensità e a più lunga durata), il
cui obiettivo è principalmente quello di
migliorare la funzionalità cardiorespiratoria
e bruciare il grasso corporeo.
«La corsa è controindicata invece in
caso di discopatia lombare o problemi
alle ginocchia, il nuoto è sconsigliato in
presenza di lombalgie acute, mentre la
ginnastica in acqua, meglio se a temperatura
fredda, può essere particolarmente
benefica per i pazienti con artrosi
e lombalgia cronica».
Ma anche le attività ritenute meno
impegnative – come yoga, pilates e tai
chi – richiedono cautela in particolari
soggetti, perché le posture che puntano
a migliorare la flessibilità del corpo e l’equilibrio
possono non essere appropriate
in alcuni stati di sofferenza articolare.
«Sicuramente non bisogna allarmarsi
se, dopo le prime uscite, si avvertono
lievi dolori muscolari o articolari che
manifestano una reazione del corpo alla
“rimessa in moto” a cui è stato chiamato», riprende il dottor Genesio. «Di
norma, si tratta di fastidi che si risolvono
nell’arco di 24-48 ore e sono dovuti a
micro traumi a livello dei tessuti, in cui si
accumulano prodotti del metabolismo
che stimolano le terminazioni nervose e
causano il fastidio».
Campanelli d’allarme
Diverso è il caso di un dolore costante,
che si protrae per una settimana (o oltre) e spesso è associato ad altri sintomi
(gonfiore, ematoma, difficoltà di movimento,
etc): l’esercizio fisico espone a
tutte quelle sindromi da overuse e overload
(ovvero, eccesso di sollecitazione
e sovraccarico) che sono tipiche anche
delle malattie professionali, perché mettono
a dura prova muscoli, tendini, legamenti
e articolazioni, compresi i tessuti
più “resistenti” come ossa e cartilagini.
Ecco perché molte patologie vengono
indicate con nomi tipici, come “gomito
del tennista” (epicondilite), “ginocchia
del calciatore” (meniscopatia o
condropatia in ginocchio varo), “spalla
del nuotatore” (tendinopatia della cuffia dei rotatori), “ginocchio del saltatore”
(tendinopatia rotulea) o “frattura
del marciatore” (frattura metatarsale da
stress), solo per citarne alcune.
Il corpo va ascoltato nel suo linguaggio
silenzioso, fatto di sensazioni e limiti
da rispettare, scordando il motto “No
pain, no gain” – cioè, “Non c’è progresso
senza dolore” – proclamato negli anni
Ottanta dall’attrice Jane Fonda nei suoi
video di aerobica.
«Al contrario, i muscoli non devono
lavorare fino al punto di provare sofferenza,
perché lo sport va dosato e inserito
all’interno di un programma che, oltre
ad aumentare gradualmente durata
e intensità, preveda anche qualche esercizio
di riscaldamento e allungamento
muscolare prima di iniziare», raccomanda
Genesio.
Anche il cibo previene i traumi
Trenta minuti di corsa leggera, un’ora di
camminata a passo veloce, una partita
a calcio con gli amici o un programma
di fitness in palestra: seppure praticati a
livello amatoriale, comportano per l’organismo
una perdita di acqua, sali minerali
e zuccheri, che vanno opportunamente
reintegrati a tavola.
«In genere, si ritiene sufficiente un’alimentazione
più abbondante e calorica
rispetto a chi conduce una vita sedentaria,
mentre l’attività fisica sottopone
corpo e mente a uno stress che spesso
non viene compensato dai normali cibi,
oggi troppo raffinati, frutto di coltivazioni
intensive, stoccati per lunghi
periodi e dunque impoveriti dei naturali
nutrienti», spiega il dottor Massimo
Spattini, specialista in Medicina dello
sport e Scienza dell’alimentazione,
nonché campione di body building negli
anni Ottanta (www.massimospattini.com). «Questo rende necessario assumere
idonei integratori, dallo zinco
al magnesio, dalla creatina alla vitamina
D, che vanno indicati da un medico dello
sport o un nutrizionista dopo un’attenta
valutazione di metabolismo, stile
di vita, alimentazione e ovviamente tipologia
di attività praticata».
Normalmente, comunque, un’alimentazione
varia ed equilibrata costituisce
una buona base di partenza: non
a caso, la dieta mediterranea viene considerata
il modello che meglio soddisfa
i fabbisogni nutrizionali degli sportivi
grazie al largo impiego di cereali, frutta
e verdura, legumi e carni bianche, alimenti
che nel loro insieme garantiscono
un rilascio costante di energia per tempi
prolungati e un sufficiente apporto di
proteine.
«Vanno privilegiati gli alimenti a basso
indice glicemico e ricchi di fibre, che
non innalzano bruscamente la glicemia
nel sangue e vengono assorbiti più lentamente», suggerisce Spattini. «È il caso
di frutta, verdura e cereali integrali, ad
esempio, senza dimenticare l’importanza
della giusta quantità di grassi, soprattutto
quelli monoinsaturi dell’olio extravergine
d’oliva o della frutta secca a
guscio».
Tre ore dopo il pasto
Fondamentali sono anche le proteine,
necessarie per costruire i muscoli e ripararli,
così come per rendere più forti e
salde le ossa, sostenendo gli sforzi fisici e riducendo il rischio di infortuni
o lesioni e diminuendo l’appannamento
mentale da affaticamento.
Un adulto deve introdurne giornalmente
un grammo per ogni chilogrammo
di peso corporeo, aumentandole a
1,5-2 grammi quando si pratica sport:
quelle di origine animale, contenute
in carne, pesce, uova, latte e latticini,
hanno un alto valore biologico perché
racchiudono tutti gli otto aminoacidi
definiti essenziali (treonina, lisina, metionina,
fenilalanina, triptofano, isoleucina,
leucina, valina), che l’organismo
non riesce a sintetizzare in quantità sufficiente per fronteggiare i propri bisogni
e deve necessariamente assumere
dall’alimentazione. «Meno nobili, perché
non contengono tutti questi aminoacidi
essenziali, sono invece le proteine
vegetali», riferisce Spattini, «seppure
esistano particolari combinazioni, come
pasta e legumi, che rappresentano
un buon compromesso».
Qualunque sia il menù, l’importante
è non praticare sport a stomaco pieno,
perché l’organismo non riesce a soddisfare
la richiesta di un maggiore afflusso
di sangue che arriva sia dall’intestino
(per la digestione) sia da cuore e muscoli
(per sostenere lo sforzo fisico). Risultato:
maggiore fatica e minori risultati.
Devono quindi trascorrere almeno
tre ore fra l’ultimo pasto completo e l’allenamento,
che però non deve essere affrontato
neppure a digiuno. Soprattutto
chi fa esercizio in pausa pranzo o magari
la sera, dopo il lavoro, deve prevedere
una buona colazione e un paio di spuntini,
a metà mattinata e pomeriggio: per
esempio, un panino con prosciutto e
bresaola accompagnato da una spremuta
o uno yogurt greco con cereali integrali,
un frutto e un pugno di mandorle.
La stessa attenzione va riservata anche
in fase di recupero, quando – oltre a
reintrodurre molta acqua – vanno consumati
pasti facili da digerire e completi
per favorire il ripristino dell’equilibrio
idrosalino e delle riserve energetiche
dell’organismo: un primo piatto a base
di cereali o derivati; un secondo piatto
di carne magra (o di legumi, se l’atleta
è vegetariano o vegano), pesce, verdura
e frutta. Così, il menù post-allenamento
è servito.