Ripubblichiamo integralmente l'articolo pubblicato sul numero 4 di Famiglia Cristiana del 25 gennaio 2009 a proposito della cordata italiana per salvare Alitalia. Siamo stati facili Cassandre.
La
nuova Alitalia di Roberto Colaninno & C., nata dalle ceneri della
vecchia Alitalia e di Air One, ha finalmente preso il volo. Proviamo a fare
due conti e a vedere chi è salito a bordo e chi è rimasto a terra. A
guadagnarci sono sicuramente imprenditori con «attitudine al rischio e
attenzione al ritorno del loro investimento», come recita la lettera ai
dipendenti dell’amministratore delegato della nuova compagnia Rocco
Sabelli. Ventuno "capitani coraggiosi" che in nome dell’italianità,
hanno rilevato la "polpa" del vecchio vettore: i migliori aerei,
le rotte, i servizi migliori, il personale "purgato" dagli
esuberi.
Coraggiosi ma ben remunerati. Hanno speso in tutto un
miliardo, con quote che vanno dai 100 milioni del gruppo siderurgico Riva ai
10 del gruppo Marcegaglia, per un’azienda che vale almeno un miliardo e
200 milioni di euro, dicono gli addetti ai lavori.
I francesi cantano vittoria
Ma a guadagnarci di più è il patron di Air One Carlo
Toto, la cui compagnia aveva debiti ipotecari per 490 milioni di euro.
La nuova Alitalia, per inglobare Air One, ha riscattato completamente questo
fardello, aggiungendo 300 milioni di euro "freschi". Di questi,
Toto ne verserà 60 per entrare nella cordata. In pratica entra in questa
storia con 490 milioni di euro di debiti e ne esce con 240. C’è chi dice
che l’affare è dovuto agli ottimi asset della sua compagnia, che
tra l’altro dispone di Airbus nuovi ed efficienti, ma c’è chi aggiunge
che dietro c’è anche la regia dell’advisor dell’intera operazione,
Banca Intesa San Paolo, detentrice del debito Air One. In tal modo la banca
può ottenere il "rientro" della somma prestat.
Anche i francesi di Air France-Klm, che hanno acquistato
con il 27,5 per cento delle quote la maggioranza relativa del capitale della
nuova Alitalia, cantano vittoria. "Merci Silvio" hanno titolato i
quotidiani d’Oltralpe. La compagnia guidata da Jean-Cyrill Spinetta è
tornata in pista pagando, per un quarto del capitale della società, meno di
un quinto (323 milioni di euro) di quanto aveva offerto per l’intera
azienda (un miliardo e 750 milioni) al Governo Prodi, il 14 marzo 2008.
Indovinate chi paga il conto.
Non solo, ma i francesi hanno acquisito il 27,5 per cento
di una società ripulita, liberata dai debiti, dai suoi endemici guai
sindacali e dai rami secchi. Con l’offerta presentata nel 2008, invece, si
erano impegnati a prendersi tutto, la polpa ma anche le frattaglie, pagando
il miliardo e 700 milioni, ma anche a saldare i debiti, versando così in aggiunta in più un
miliardo e 370 milioni di euro. Circa tre miliardi in tutto.
Ma allora il conto della vecchia Alitalia chi lo paga? Il
commissario straordinario della società Augusto Fantozzi dice che ci
sono 3,2 miliardi di debiti e che conta di incassare 600 milioni dalla
vendita dei residui aerei e degli immobili. Il resto lo pagheranno i piccoli
azionisti, i debitori e soprattutto i contribuenti italiani, che dovranno
accollarsi anche il costo dell’amministrazione straordinaria dichiarata in
agosto e il miliardo di ammortizzatori sociali per sette anni a favore dei
dipendenti.
Quattro miliardi in tutto. In media, cento euro a
contribuente. Non solo. Air France-Klm completa la sua rete continentale di
grandi snodi aeroportuali (gli hub) sommando Roma a Parigi e
Amsterdam, ed entrando da protagonista in un mercato di 24 milioni di
passeggeri, tagliando l’erba sotto i piedi di Lufthansa e British Airways.
Delle 13 rotte intercontinentali, 10 partono da Fiumicino e 3 da Malpensa,
ridimensionando lo scalo milanese.
Inoltre, con la fusione con Air One la
nuova compagnia ha di fatto il monopolio della tratta Milano-Roma (la più
cara d’Europa, con prezzi che vanno da 190 a 700 euro andata e ritorno).
Se la nuova compagnia aumenta le tariffe non ci sono alternative. L’Antitrust
ha le mani legate, perché il Governo ha bloccato i suoi poteri di
intervento per i prossimi tre anni.
Tre biglietti in uno
Il passeggero che si presenta a Linate per volare a Roma
è come se pagasse il biglietto tre volte: come passeggero, come vittima del
monopolio e come contribuente. Il premier Silvio Berlusconi, che
aveva fatto fallire il progetto di acquisizione francese del Governo Prodi
ma ha mantenuto le promesse della campagna elettorale («una cordata tutta
italiana»), nega che sia stato un cattivo affare, affermando che finalmente
l’Italia ha una compagnia efficiente. Ma che cos’è questa benedetta
"italianità"?
Solo una questione di bandiera, di orgoglio, di immagine?
Non solo, in verità. Perché Air France, comprandosi tutta Alitalia come
nell’offerta a Prodi, avrebbe penalizzato le destinazioni italiane, ma
anche quelle europee e intercontinentali, soffiandoci i turisti in entrata e
in uscita dal nostro Paese e danneggiando il nostro import-export. Ma i
dubbi restano. Air France non può aumentare la sua partecipazione e se
vende deve vendere solo a soci italiani. Peccato che l’accordo valga solo
nei prossimi quattro anni.
Dal 13 gennaio 2013 il vettore francese potrà
comprare azioni da soci italiani, esercitando diritto di prelazione. E se
Alitalia andrà in borsa il vincolo scadrà nel 2012.
Insomma: fino a che punto Air France prenderà Alitalia
"sotto la sua ala?".
«Quando si hanno infrastrutture del genere», commenta Roberto
Dona, economista della Bocconi, «è quasi inevitabile che si ceda tutto».
Sarà questo l’epilogo? Non è che l’italianità, più che comprarla, l’abbiamo
"affittata" per quattro anni a un canone di locazione di un
miliardo di euro l’anno?
Post scriptum: con quattro miliardi di euro (quelli che
dovranno accollarsi i contribuenti) si potevano fare tante cose. Tra le
quali finanziare 333.333 sussidi di disoccupazione da mille euro al mese per
un anno. In Italia, come è noto, non ci sono solo i dipendenti Alitalia a
rischiare il posto.