Raccontare l’emergenza umanitaria è sempre più difficile. A volte mancano le risorse per recarsi nei luoghi della disperazione, a volte mancano i permessi diplomatici per farlo, ultimamente possono mancare le parole per descrivere i gironi danteschi a cui centinaia di migliaia di persone sono costrette a sottoporsi.
E oggi uno dei gironi danteschi è fatto di acqua e di cielo: il Mediterraneo dei barconi e della tratta di esseri umani. Al Festival del Volontariato di Lucca (inaugurato giovedì 16, in corso fino a domenica 19), ne ha parlato il sottosegretario al ministero degli Interni Domenico Manzione: «Nessuno sa», ha detto, «quante persone sono morte nel Mediterraneo, ma molto probabilmente è il cimitero a cielo aperto più grande di tutta Europa. Di fronte a questa considerazione, la domanda da porsi non è quanto si spende per soccorrere gli immigrati, ma se queste risorse valgono le vite che salvano, se 300.000 euro al giorno che costava Mare Nostrum, valevano la vita di queste persone».
Parole e dati che tracciano un quadro complesso e articolato al tempo stesso. «La nuova operazione europea “Triton”, ha continuato Manzione, ha una forza navale decisamente inferiore a Mare Nostrum, ma se vediamo i dati notiamo che non sono diversi da quelli del 2014. Questo dimostra che non sono le operazioni a determinare il flusso delle persone che partono, ma esso è determinato dalla situazione della Siria, della Libia, del Corno d'Africa e delle altre situazioni del Centro Africa dove imperversa Boko Haram. E alcune di queste situazioni di crisi sono generate dall'Europa: è stato destabilizzato un Paese e adesso ce la prendiamo con le inevitabili conseguenze».
No alle strumentalizzazioni politiche
I numeri dell’emergenza umanitaria, ha aggiunto il sottosegretario, «non devono essere strumentalizzati per fini partitici»: «Nessuno può essere tranquillo di fronte alla situazione che abbiamo davanti, ma se ne deve parlare in termini oggettivi perché troppo spesso il tema viene guardato attraverso il velo dell'ideologia che non porta a nulla. Non voglio minimizzare la drammaticità del problema, ma l'Italia non è l'ombelico del mondo. Su oltre 8.000, sono 450 i comuni che fanno accoglienza. Tutto probabilmente va riportato alle giuste dimensioni».
Bisogna fare molta attenzione a non porsi domande sbagliate e forvianti. «La scelta», ha sottolineato ancora Manzione, «non è fra accoglienza e respingimento. Abbiamo una fascia di mare dentro la quale ci sono tre convenzioni internazionali che obbligano al soccorso marino e non rispettarla porterebbe al reato di omissione di soccorso. Non possiamo varcare le acque della Libia né respingere perché i respingimenti indiscriminati sono atti contrari alla convenzione europea. In passato hanno prodotto condanne da parte della Corte europea. Quando si dice “rimandateli indietro” tutto ciò dovrebbe essere tenuto presente».
Manzione ha commentato i dati sugli arrivi dei richiedenti asilo degli ultimi anni: nel 2012 gli sbarchi sono stati 13.267, e nel 2013 diventano 42.925, nel 2014 170.000. Quest'anno rispetto all'anno passato i numeri appaiono pressoché omologhi e il trend è quello della stabilizzazione di cifre molto alte.
Loris De Filippi, presidente di Msf Italia, al microfono, e a sinistra il regista e giornalista Claudio Camarca.
“Per fare dell’ottimo giornalismo ci vuole un paio di scarpe buone”
Anche Loris De Filippi, presidente di Medici senza frontiere Italia, si affida ai numeri per poter tracciare il quadro della situazione: «Se pensiamo che attualmente ci sono tra Africa e Asia 51 milioni di persone in fuga da varie situazioni di emergenza umanitaria, ci rendiamo conto di quanto siano piccoli i numeri che appaiono nelle cronache italiane. A breve verrà chiuso il campo dei rifugiati di Dadab in Kenya, che ospita circa 350 mila somali. Dove andranno secondo voi?».
Il richiamo fatto da più parti, dagli addetti ai lavori e da coloro che stanno nella prima linea dell’emergenza, è nei confronti della politica. «Se la politica», aggiunge De Filippi, «di qualsiasi livello, nazionale, europea e internazionale, non fornirà risposte concrete ed esaustive, non ci saranno muri abbastanza alti e solidi per contenere il flusso dei migranti. È la politica che deve dare soluzioni».
Invece accade troppo spesso che per incapacità o mancanza di comprensione del problema, i politici, rivolgano il proprio sguardo alle Organizzazioni umanitarie sul territorio. «Non è questo il modo di risolvere il problema», continua il presidente di Msf Italia, «noi siamo un cerotto posto su una grande ferita, al massimo dei nostri sforzi riusciamo solo a tamponare il problema, ma i numeri raccolti parlano d’altro…».
«Sento dire da qualche esponente politico italiano che i barconi dei migranti potrebbero essere dei veicoli atti a infiltrare cellule terroristiche dell’Isis», conclude De Filippi. «Se l’Isis vuole raggiungere l’Italia può farlo in mille modi diversi, sicuramente più comodi e sicuri di un barcone precario che a volte non riesce neanche a compiere metà del tragitto verso l’Italia. Credo che i terroristi, quelli veri, viaggino in aereo o su altri mezzi, non certo su una carretta del mare».
Anche Claudio Camarca, giornalista e regista (tornato idi recente da un lungo viaggio per raccontare l’emergenza ebola della Sierra Leone), nel suo intervento sottolinea le difficoltà di un mestiere che ha bisogno di trovare nuove forme di comunicazione: «I reportage non interessano più a nessuno, bisogna trovare un modo nuovo per raccontare i mali della terra. Credo che sia necessario andare controcorrente rispetto a coloro che non vanno più a contatto con il rischio, sia questo costituito da un’epidemia che da uno scenario bellico».
Il riferimento è ad agenzie o testate che per risparmiare e non far rischiare la vita ai propri professionisti, utilizzano personale locale mal pagato e scarsamente professionale. «Scelte approssimative», aggiunge Camarca, «nella nostra professione di reporter, danno luogo a cronache esponenzialmente falsate, ecco dunque come saltano fuori le cifre esagerate dell’epidemia del virus ebola, con numeri inesistenti, lontanissimi dalla realtà. Nel giornalismo, la prima regola è le credibilità che si fonda su un’attenta verifica della notizia».
Una volta, i vecchi direttori dei grandi giornali, non volevano vedere nessuno in redazione prima del pomeriggio. Desideravano che i loro giornalisti, usassero tutto il tempo a loro disposizione per la “caccia alla notizia” con conseguente lavoro di verifica e sviluppo della stessa. «Bisogna essere», conclude Camarca, «a stretto contatto con la notizia, anzi meglio, dentro la notizia, in prima persone e in presa diretta, a pochi centimetri dal dramma, ed essere parte integrante della scena. Come diceva sempre il grande maestro del foto-giornalismo, Henri Cartier-Bresson, che ho avuto la fortuna di intervistare: “Per fare dell’ottimo giornalismo ci vuole un paio di scarpe buone” ».