Luciana Daqua, ex docente universitaria e assistente sociale
«Voi dovete volare, avere la consapevolezza della bellezza di voi» è l’augurio che Luciana Daqua, dottoressa in Scienze del Servizio Sociale, ex docente universitaria ed ex assistente sociale della provincia di Reggio Calabria, insignita quest’anno del Riconoscimento Internazionale Santa Rita, rivolge ai giovani e alle coppie di oggi. È a loro che Daqua ha dedicato tutta la sua vita, a partire dalla sua stessa famiglia. Mamma in senso trasversale, insieme con suo marito Enzo, ha accolto nella propria casa persone che necessitavano di aiuto, di assistenza, anche semplicemente di calore umano, trasformando il sogno giovanile di diventare una missionaria come Madre Teresa in un progetto di vita: essere missionaria in terra propria
Data la sua storia, lei ha vissuto il concetto dell’essere mamma nella sua accezione più ampia e completa. Cosa l’ha spinta a vivere la maternità in questo modo?
«Non mi sono mai chiesta “Luciana perché fai questo?”. Per me era un tutt’uno, mi era difficile settorializzarmi. L’amore per i figli in senso lato è stato generato da una relazione di coppia meravigliosa. È stato proprio questo grande amore di coppia, vissuto in un progetto di famiglia, che mi ha aperto agli altri. Vedere le ragazze che si prostituivano e rimanere indifferente era impossibile per me, perché mi chiedevo “e se fosse mia figlia?”. Ma era mia figlia. Avevo compreso che quelle ragazze avevano bisogno di uno spazio che facesse sentire loro la bellezza e il valore del loro essere creature. Alcune venivano da paesi stranieri ed erano state portate in Italia con l’inganno: la promessa di lavoro come badante, ma la sicurezza era solo il marciapiede. Erano giovanissime: sentivano il bisogno della mamma, per loro era determinante. Uno dei tanti ricordi è legato a una mattina quando mi stavo recando all’università perché giorno di esami. Sotto il ponte vicino al porto, scorgo due giovanissime ragazze. Ebbi un sussulto: “saranno delle prostitute”. Ho telefonato per rinviare gli esami e mi sono catapultata da loro, spogliandomi da ogni ruolo professionale...anche perché sono profondamente convinta che non è il ruolo che dona valore alla persona, semmai, è la persona che sostanzia di dignità il ruolo. In sintesi, le ho accolte a casa e una di loro, molto fragile, l’ho coricata con me, per darle il calore della mamma. È stata da me per mesi, me ne sono presa cura e, appena ripresa, dopo un percorso di elaborazione, l’ho fatta accoglierà da una carissima amica a Roma per allontanarla da quell’ambiente».
Come hanno vissuto queste scelte i suoi figli biologici?
«Benissimo. Il nostro vivere, il mio e di Enzo, è stata azione di amore a doppio gettito, perché ha aiutato anche i nostri figli a essere quello che sono, ad apprezzare la vita e l’umanità. La difficoltà del convivere, la nostra testimonianza li ha aiutati a capire com’è bello accogliere l’altro come fratello e sorella. Non sono sposati, però hanno sempre accolto questo nostro modo di essere, anzi, ci hanno anche favorito tante volte quando dovevamo accogliere qualcuno in casa. Io ho avuto esperienze diverse, polivalenti. Ad esempio, ho avuto esperienza con una ragazza che era stata violentata da piccola. Non avevamo strutture adeguate sul territorio per gestire questo tipo di casi. Ho chiesto quindi al giudice di accordarmi, nella gratuità più assoluta, la possibilità di portarla a casa per valutare la situazione e per trovare la struttura migliore per inserirla. Sapevo però che avrebbe fatto fatica a relazionarsi con mio figlio maschio, al quale ho quindi chiesto di stare dalla nonna finché non sarebbe finito questo periodo. Lui si è reso disponibile ed è rimasto lì per cinque mesi. Poi la ragazza l’ho mandata a Galbiate, vicino a Milano, il meglio che le si potesse offrire».
Il suo racconto ricorda la storia di Annalena Tonelli. Anche lei, come Annalena, sarebbe voluta andare in India da giovane.
«Io ho vissuto tutta la mia giovinezza studiando, non c’era altro per me. Il mio sogno era quello di laurearmi in Medicina e di svolgere la professione come missionaria in India. Un sogno non realizzato, perché mamma, molto gelosa e preoccupata per la mia gracile salute, dopo il biennio frequentato a Catanzaro, non mi ha fatto trasferire all’Università Federico II di Napoli per il proseguo. Un sogno che Enzo avrebbe fatto divenire "la nuova promessa nel tempo”: mi avrebbe portata da Madre Teresa di Calcutta per il nostro venticinquesimo anniversario di matrimonio. Poi non è stato così, perché Enzo è morto giovanissimo. Aveva 42 anni».
Ma quel sogno ha poi trovato la sua via, si è trasformato in altro…
«Anche se "quel sogno" l’ho sempre custodito nel profondo, l’incontro con Enzo, per il quale benedico eternamente il Signore e attraverso cui ho sperimentato l’amore di Dio, ho compreso che si può essere missionari in terra propria. Ho capito che tutta la vita è una missione vissuta vocazionalmente. Con lui è stata una “danza relazionale”. Mi ricordo la prima volta che abbiamo ascoltato un SOS di un prete che diceva di aver bisogno di un ecografo in Congo: bambini appena nati stavano morendo per mancanza di una diagnosi prenatale. Ha agito il nostro sguardo. Ci siamo attivati e dopo quindici giorni in Congo è arrivato un ecografo di ultima generazione, da noi donato. Lo stesso dicasi per un altro SOS dal Nicaragua. Questo era Enzo, Enzo che chiamavo quando ero in panico per svariati problemi che si venivano a creare anche di notte, quando dovevo "recuperare" qualche creatura in preda a scompensi e lui correva da me senza la minima esitazione. Lui è stato il dono della mia vita, non avrei potuto fare di casa mia un focolare senza di lui. È stato grazie a lui, al suo modo di essere, che mi ha sostenuta nell' espressione della mia libertà come donna, come moglie, come madre, come professionista. Mi coadiuvava in tutto, anzi, con la sua bellezza, con il suo silenzio mi ha stimolato a scrivere i cinque libri di cui uno di natura scientifica. Ricordo quando sono stata delegata dal Ministero degli Interni per il coordinamento degli interventi a favore degli immigrati agli sbarchi Curdi avvenuti a Monasterace, Riace, Sant'Ilario. Faccio memoria dell’ultimo sbarco avvenuto a Sant’Ilario. Dopo aver fatto un lavoro di cesello, metodologico e strategico, erano rimasti sette ragazzi. La presenza di Enzo, il suo sostegno, mi hanno permesso di sviluppare un lavoro di rete per l’inserimento di alcune famiglie in nuclei famigliari del territorio. Erano rimasti in balia dell' improvvisazione e/o della fortuna-sfortuna un paio di giovani. Con Enzo ci siamo guardati e li abbiamo portati a casa».
Sta diventando un mondo sterile e il fatto che non ci sia più comunicazione tra Chiesa e giovani è un’aggravante.
«Nell'era dell'intelligenza artificiale e di internet, telefonini ecc. la comunicazione efficace fatta anche e soprattutto di abbracci, incontri, sguardi, emozioni, ascolto, non si cura più, anzi. Il problema è che come Chiesa non siamo stati capaci di fare la differenza con gli altri sistemi. Siamo diventati dei numeri, considerati in base alle prestazioni. I giovani colgono una grande contraddizione. Non è tempo facile neanche per la Chiesa: le scuole online, le formazioni online, la secolarizzazione, un clero frantumato su ideologie di parte, le varie scissioni, sicuramente non aiutano i giovani ad avvicinarsi alla chiesa, perché la crisi è identitaria. Gesù non è una morale, non è un sistema intellettuale, non è un riferimento che giustifica altre scelte. Ma è un incontro, intimo, duale, libero, gratuito, di solo amore. Una storia d' amore. Sentirsi amati nel dolore, nella sofferenza, nella solitudine, nella povertà, nella umiliazione, nel giudizio, nel rifiuto, nella emarginazione. Quando riusciremo, come credenti, a testimoniare ai giovani tutto questo Amore, con la gioia nel prenderci cura di loro, quell'amore che porta a lasciar morire noi stessi per donargli la vita, forse, li aiuteremo quantomeno ad interrogarsi e mettersi in ricerca. Ritengo sia necessario ed inderogabile che prima di tutto dovremmo interrogarci seriamente noi adulti. Recuperare la bellezza dell'umano, mistero dell' incarnazione, è la missione della chiesa. Non si dovrebbe separare il sacro della Chiesa dal sacro che è l’uomo. Più si vive l’umano, più si incontra il Divino. A mio avviso, uno dei drammi di oggi è che abbiamo separato la vita dalla fede. In chiesa viviamo "il sacro" fuori "c’è la gente”, dimenticando che ogni persona è tabernacolo vivente del Divino. Il divino è già insito nell’umano. Cristo è venuto proprio per questo motivo, per farci vivere la bellezza del divino in ogni creatura. Il mistero dell’incarnazione questo mi ha insegnato, l’ho sperimentato sulla mia pelle. Preghiamo che il Signore illumini ogni pensiero e guidi ogni azione umana».
Che augurio farebbe alle giovani coppie e alle mamme di oggi?
«Faccio mediazione di coppia, nella gratuità, e non è stato il master di terzo livello che ho frequentato per il conseguimento del titolo che mi ha permesso di raggiungere ottimi risultati. Sicuramente mi è servito, ma attribuisco il buon esito della vasta casistica alla testimonianza di vita in primis dei miei genitori, poi ai quotidiani ascolti vissuti con le persone, ma soprattutto, alla mia vita di coppia, alla relazione con mio marito, illuminata nei momenti difficili dalla Parola di Dio che settimanalmente scrutavo nel Cammino Neocatecumenale. Quel dono, la mia relazione di coppia, il progetto, la famiglia, le difficoltà superate (Enzo ha avuto due incidenti stradali terribili, per cinque anni ha camminato con le stampelle) la luce della Parola, il nutrimento Eucaristico, sono stati gli ingredienti salienti e fondanti che mi hanno aiutata a mettere in piedi un metodo a sostegno delle coppie, soprattutto in crisi. Amare è una scelta, è una decisione. Quindi questo è il mio augurio: voi dovete volare, avere la consapevolezza della bellezza di voi e perdervi nell'altro per ritrovarvi. Dico quanto ho sempre detto ai giovani e alle coppie con i quali ho percorso tratti di strada insieme: “guardatevi allo specchio e ditevi ‘ti amo’, proprio come attività terapeutica, ‘ti amo’ perché tu sei un dono meraviglioso dell’amore di Dio, che porta in sé il seme per generare la vita”. Vi dà la forza per non omologarvi alla realtà, al tutto e subito, e vivere i sentimenti come bene di consumo. Fate la differenza, non vi omologate a questa mentalità, desiderate di essere diversi, essere portatore-portatrice di amore, perché è in voi l' 'Amore. L’altro è il dono di Dio per la tua vita, affinché attraverso l’altro tu viva. Certa che ogni vocazione si sostanzia di specificità e si caratterizza nella Relazione posta in essere che diviene progetto di vita. L'amore di coppia, nutrito e vissuto alla presenza dell’Amore, che ci chiama ad ascoltare per ascoltarci, è quello spazio che consente la compiutezza della bellezza della creaturalità. È una divina avventura».