Dietro, cinque file a scalare di star di ogni epoca: da Colin Farrell a Laetitia Casta, da Madds Mikkelsen a Sofia Coppola, da Christophe Waltz a Juliette Binoche, da Paolo Sorrentino ad Antonio Banderas. E poi Pedro Almodòvar, Bérénice Béjo, Will Smith, Uma Thurman, Oliver Stone, Monica Bellucci, Benicio Del Toro, Charlize Theron, Isabelle Huppert, Claudia Cardinale, Vincent Lindon, Nicole Kidman, Catherine Deneuve, Kirsten Dunst, Agnès Varda, Diane Kruger, Marion Cotillard, Salma Hayek... Impossibile elencarle tutte.
In prima fila, i vincitori della Palma d’oro. Tra loro: Laurent Cantet, Christian Mungiu, Claude Lelouch, Michael Haneke, Costa-Gavras, Ken Loach e perfino Nanni Moretti (sempre restìo ma che a Cannes non poteva proprio dire di no). Posto d’onore, al centro, per Jane Campion, l’unica regista ad aver conquistato il massimo alloro (per Lezioni di piano) nella storia del festival. Qualcuno ha contato: 113 nomi che hanno fatto la storia del cinema. Foto epocale che ogni buon cinefilo dovrebbe tenere sul comodino.
Detto che il mercato ha fatto affari d’oro (è il vero punto di forza del Festival di Cannes), va riconosciuto il buon livello dei titoli in concorso. Inevitabile qualche scivolone, specie nella troppo abbondante selezione francese: noioso Rodin di Doillon, inguardabile L’amant double di Ozon, una mezza delusione Le redoutable di Azanavicius. Così come il film del celebrato Michael Haneke: Happy End narra con maestrìa lo sgretolamento di una ricca famiglia di costruttori di Calais ormai incapace di cogliere la realtà (che sia dei precari o dei migranti). Così come quella del vero amore. Bravissimo Jean-Louis Trintignant (premio al miglior attore?) ma il gelo della storia sa di costruito. Non coinvolge. Per il resto, i critici sulla Croisette sono alquanto divisi. Impazza il toto Palma d’oro.