Quanti bambini morti evitabili si può permettere uno Stato democratico per non comprimere un diritto che ritiene acquisito, per non chiedere in nome della solidarietà e della tutela del diritto alla vita una compressione di una libertà che è un unicum nelle grandi democrazie?
Potremmo parafrasare così, dopo l’ennesima strage delle armi in una scuola statunitense, a Uvalde in Texas, la domanda di fondo sottesa al piccolo saggio del filosofo del diritto tedesco Jürgen Habermas Proteggere la vita, da poco uscito per Laterza, in cui ci si interroga su quanti morti in eccesso, evitabili, per pandemia un governo di uno stato democratico possa mettere in conto, bilanciando diritti costituzionali, senza tradire il diritto fondamentale alla vita.
È notorio: negli Stati Uniti, il secondo emendamento della Costituzione prevede che «Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto». Si tratta di un emendamento introdotto con il Bill of Rights nel 1791, che affonda le radici in un contesto storico nel quale i principi di una democrazia pluralista occidentale, come oggi la intendiamo, stavano solo cominciando ad affondare: si era in pieno colonialismo, in pieno schiavismo, un humus di violenza intrinseca che precede di un secolo anche il Far West, cui la società americana - pur in un contesto tutto diverso, in una evidente evoluzione del tema dei diritti che ha fatto passi da gigante nell’ultima metà del XX secolo in tutto l’Occidente – sembra essersi affezionata, come a un totem, come a un fatto identitario, benché nel frattempo il Paese si sia dotato come gli altri di una Polizia professionale e di un ordinamento giudiziario che si presume siano professionalmente ben attrezzati a sostituire quella «milizia» un po’ fai da te evocata da quell’emendamento antico.
Eppure non ci si libera di quel retaggio, evidentemente culturale e ben radicato, se è vero che, come ricorda Questione giustizia, la Corte suprema nel 2008 con «una decisione diventata vincolante per tutti gli Stati dell’Unione nel 2010, rovesciando la precedente interpretazione del secondo emendamento della Costituzione federale, ha dichiarato costituzionalmente tutelato il diritto dei cittadini americani di possedere un’arma da fuoco».
Sarebbe difficile spiegarsi, altrimenti, perché dopo ogni strage di bambini a scuola (l’ultima nella notte tra il 24 e il 25 maggio 2022 che ha causato la morte di oltre 20 persone per lo più alunni), dopo un attimo di commozione e di rabbia collettivi, si torni a tenersi stretto come fosse una coperta di Linus intessuta di filo spinato, quell’emendamento superato agli occhi delle altre democrazie pluraliste. Un diritto che fa sì che negli Stati Uniti, dati alla mano, sia incomparabilmente più probabile morire per un colpo d’arma da fuoco, maturato in tutte le possibili sfumature che vanno dall’incidente domestico alla strage premeditata, rispetto a ogni altro Paese parimenti avanzato e democratico.
Tutto questo in nome di una sicurezza percepita che tutti i dati smentiscono, facendo degli Usa oggettivamente il meno sicuro degli Stati democratici occidentali: fattore certamente influenzato da una circolazione di armi anche sofisticate e da “guerra” in mano ai privati non paragonabile con altri Paesi parimenti avanzati. Una circolazione che nemmeno la paura del terrorismo internazionale dopo l’11 settembre ha rallentato, come se non fosse astrattamente possibile che tra gli acquirenti di un’arma automatica al supermercato ci sia anche un fondamentalista aspirante attentatore, islamico e suprematista che sia.
In Texas, poi, dove l’ultima strage è avvenuta, le maglie sono state ulteriormente allargate il 1° settembre del 2021 con la legge la 1927, fortemente voluta dal governatore repubblicano dello Stato, Greg Abbott, tra i più ferventi sostenitori del Secondo emendamento: una norma che prevede che a chiunque risieda in Texas è consentito non solo possedere, ma pure portare per strada, un’arma da fuoco, anche senza porto d’armi e senza aver avuto alcuna formazione in materia.
La risposta convenzionale che si dà sta nel potere della cosiddetta lobby delle armi, molto sostenuta dall’ala repubblicana. Ma dopo l’ennesima strage è difficile non domandarsi perché i cittadini del Paese che ha fatto inginocchiare il mondo in nome del movimento Black lives matters andando in piazza per mesi e mesi, non riesca a fare quadrato per difendere con altrettanta forza il diritto dei propri bambini ad andare a scuola tranquilli, senza la paura che il primo che passa entri in aula con un mitra.
Che la risposta, non possa essere - come qualcuno oltreoceano ha già invocato – più armi agli insegnanti da questa parte del mondo pare un dato di comune buon senso, se non altro perché non sa di Paese civile costringere maestri a trasformarsi all’occorrenza in giustizieri del giorno e della notte. Un po’ perché oggettivamente non è mestiere loro ed è pure un’idea in contrasto con il loro ruolo che dovrebbe essere anche educare dei cittadini a vivere insieme. Un po’ perché statisticamente servirebbe soltanto ad aggiungere pallottole impazzite a pallottole impazzite.