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martedì 22 aprile 2025
 
 

Servizio civile, 40 anni per la pace

27/01/2013  Il servizio civile grande occasione per educare i cittadini all'impegno contro la violenza e tutte le guerre.

Fare memoria per guardare al futuro. Il convegno organizzato dalla Commisione Cei per i problemi sociali e il lavoro, da Caritas italiana e da Pax Christi sui 40 anni dalla legge che ha consentito l'obiezione di coscienza al servizio militare in Italia (Legge 772/72) ha voluto ricordare «il contributo dei cattolici italiani nell’impegno per il riconoscimento del diritto all’obiezione al militare e nell’organizzazione del servizio civile quale occasione di educazione dei giovani alla pace e alla solidarietà».

Un contributo importante, ha spiegato introducendo i lavori Diego Cipriani, fino al 2008 direttore generale dell'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile e oggi responsabile dell’Ufficio promozione umana della Caritas. «Un contributo che è servito soprattutto a far maturare una cultura. Oggi è arrivato il momento di chiederci se c’è ancora quella carica ideologica che stava dietro all’obiezione. Una scelta che non significava soltanto dire un no all’uso personale delle armi, ma che rifiutava un intero sistema fondato sulla violenza. Quel "no" alle armi portava dietro anche un "sì" al servizio civile come tentativo di ricostruire legami, di perseguire la giustizia, di far sviluppare il Paese. Dobbiamo chiederci se oggi questo spirito può ancora ispirare l’agire di tanti ragazzi e ragazze». Nell’auditorium della Domus Mariae, a Roma, tanti volti storici, da don Renato Sacco a don Gianni Novelli, ma anche tanti giovani, maschi e femmine, interessati al tema. Soprattutto a loro si rivolge monsignor Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente di Pax Christi: «La strada della nonviolenza vale per tutti, non sono richiesti doti o titoli, piuttosto la mitezza che dice la volontà di impegnare come Gesù la propria libertà per la comunione di tutti».

Con il venir meno della leva obbligatoria, conclude il vescovo, «è cambiata anche la forma dell'obiezione, da no al sevizio militare, oggi si tratta di insegnare come nella concretezza delle scelte personali si crea un ambiente di pace, che riguarda le scelte politiche, economiche, sociali. Lo stesso servizio civile deve fornire stili di vita nuovi, contro la nonviolenza, che riscopra anche i valori della convivenza».

«Attendiamo un segnale positivo dal nuovo Parlamento e dal nuovo Governo». Monsignor Giuseppe Merisi, presidente della Caritas italiana e della Commissione episcopale per la carità e la salute, spiega che «ricordare i 40 anni di impegno per l'obiezione e la pace non significa dimenticare le attuali difficoltà nelle quali si trova oggi il servizio civile».



Difficoltà soprattutto economiche?

«Innanzitutto quelle. Noi speriamo che lo Stato, le istituzioni a tutti i livelli facciano la loro parte, anche finanziariamente, per sostenere ils ervizio civile. Ci sono molti giovani desiderosi di dare il loro contributo, molte comunità coinvolte e siamo convinti che occorre dare loro la possibilità di impegnarsi per il bene comune».



E poi c'è l'investimento educativo.

«Quello è fondamentale. Per noi il servizio civile si inserisce del decennio che la Chiesa italiana sta dedicando all'educazione. Formare i nostri giovani alla cittadinanza attiva e responsabile è il miglior investimento per il futuro del nostro Paese. La Chiesa sta facendo la sua parte in tal senso, ma occorre un impegno condiviso anche con le istituzioni. Occorrono nuove proposte di educazione alla pace e alla non violenza».



I giovani sono attenti?

«Certamente sì. Lo abbiamo visto sia nell'ultima marcia della Pace a Lecce, sia nella tavola rotonda che abbiamo organizzato sulla Siria, sia nel loro quotidiano impegno nelle varie organizzazioni di volontariato, nella stessa Caritas, nelle missioni all'estero».



In concreto cosa si può fare?

«Non abbandonare la paziente opera di formazione delle coscienze, offrire un contributo al dibattito sempre aperto sul rapporto tra la difesa della pace e della democrazia  e controllo dell'uso e del commercio delle armi, tra non violenza e difesa delle popolazioni deboli e perseguitate, sulla presenza più efficace degli organismi internazionali. Occorre fare obiezione contro ogni forma di odio e di violenza».

Dal 2001, anno in cui, a seguito della sospensione della leva obbligatoria, viene istituito il servizio civile nazionale su base volontaria, al 2011 i posti messi a bando sono stati 319.340, ma i giovani effettivamente avviati al servizio sono stati 277.820. I dati ufficiali (riferiti al 31 dicembre 2011) dicono che, a fronte di 86.571 domande presentate nell'ultimo anno i posti disponibili sono stati 20.157. Un decremento costante di possibilità dai 51.273 posti del 2001. L'ultimo anno ha toccato la soglia più bassa del decennio, mentre invece le domande, che avevano avuto il loro picco negativo nel 2008 con 68.087 richieste inviate, sono tornate a salire.

Nel 2011 sono stati effettivamente avviati al servizio civile 15.939 volontari, di cui 15.524 in Italia e 415 all'estero. Per quanto riguarda la Caritas italiana, nel 2012 i volontari in servizio civile sono stati 650 dei quali 19 all'estero (Africa, Asia, Sud America e Balcani). Nel 2011 erano stati circa 700.

La Caritas italiana, nel 1977, aveva firmato la convenzione con il ministero della Difesa per l'impegno degli obiettori di coscienza in servizio civile. Si era poi battuta, fino alla sentenza della Corte costituzionale del 1985, per la pari dignità tra servizio civile e servizio militare. Da questo momento entrambi sono considerati come forma di difesa della patria. Ci vogliono però altri quattro anni, perché, il 31 luglio del 1989, un'altra sentenza della Corte decida la pari durata (12 mesi) dei due servizi. Fino a quel momento gli obiettori erano obbligati a 18 mesi di servizio obbligatorio.

Nel 1992 è pronta una nuova legge sull'obiezione, ma l'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga non la firma. La legge entrerà in vigore l'8 luglio del 1998. Il 6 marzo del 2001, in seguito alla sospensione della leva obbligatoria viene istituito, con la legge 64, il servizio civile.















































Una piccola esperienza, ma significativa. Sei giovani in servizio civile all'estero, in Albania. Il progetto si chiama Caschi bianchi oltre le vendette. È la risposta a un invito dell'Ufficio nazionale per il servizio civile che chiede agli enti con sedi in Albania e Kossovo di pensare a interventi «sperimentali» per le situazioni di conflitto. La rete Caschi bianchi, (Caritas italiana, associazione papa Giovanni XXIII, Focsiv), dopo una fase preparatoria di un anno, nel 2012 ha mandato sei giovani in servizio civile concentrando l'impegno sulle vendette di sangue. Si stima che da maggio 2012 a oggi siano almeno 12 gli omicidi riconducibili alle vendette. «Un fenomeno», spiega durante il convegno sull'obiezione Nicola Lapenta, uno dei giovani in servizio civile della Papa Giovanni, «che trova fondamento all'interno del codice tradizionale (Kanun), albanese. Tale codice prescrive la vendetta quale strumento per vendicare un omicidio o ristabilire l'onore nel caso di un offesa. Chi viene posto “sotto vendetta” è spinto in condizione di auto reclusione in casa, considerato tradizionalmente l'unico luogo inviolabile».

Nel corso del progetto sono state incontrate 60 famiglie del Nord Albania, tra la periferia rurale di Scutari e i villaggi di montagna di Tropoja. Il primo passo, infatti, è quello di spezzare il cerchio di silenzio attorno a chi è "sotto vendetta" e ristabilire dei legami di fiducia all'interno die villaggi e delle città. Nel corso del 2012 i Caschi bianchi hanno lavorato in rete con sette associazioni locali e svolto attività con quattro scuole. Ogni mese è stata proposta una manifestazione pubblica con 10 "cerchi di silenzio" e 9 "flashmob" in diverse città dell'Albania. Sono stati coinvolti direttamente circa 150 giovani dei quali 10 sotto vendetta. Ai campi estivi sul fenomeno, inoltre, hanno partecipato 250 giovani.

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