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martedì 03 ottobre 2023
 
 

Quaresima disarmata

11/03/2015  L'appello viene dalle tre riviste Mosaico di pace, Missione Oggi e Nigrizia e pare proprio riprendere le esortazioni più e più volte espresse da papa Francesco: all'inizio di questa Quaresima 2015, hanno diffuso l'invito a un gesto concreto per contribuire a fermare le guerre in corso. Un gesto semplice, alla portata di tutti: chiedere conto alla propria banca dei suoi investimenti. Ed eventualmente fare pressione perché li modifichi, o spostare il proprio conto presso un istituto che non investa in armi.

LE VOCI DEI PROMOTORI

«Davanti ad atrocità, uccisioni e violenze anche di questi giorni in Siria, Iraq, Libia, Ucraina… ci si sente impotenti», spiega don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi Italia. «Ma non è vero che non possiamo fare niente. Possiamo non essere complici della vendita di armi. Ognuno, personalmente o con la propria comunità, può fare qualcosa che va proprio a toccare i meccanismi profondi della guerra: scrivere alla propria banca. Sono gesti magari piccoli ma importanti».

«Quindici anni fa», ricorda padre Alex Zanotelli, direttore responsabile di Mosaico di pace, «in occasione del Giubileo, le nostre tre riviste lanciarono la Campagna di pressione alle “banche armate”.  Oggi, torniamo con un gesto concreto per favorire un maggior controllo sulle esportazioni di armi e sulle operazioni di finanziamento delle banche all’industria militare».

Due gli obiettivi che la campagna sulle “banche armate” si era posta fin dall’inizio: portare gli istituti di credito a emanare direttive trasparenti sulle attività di finanziamento alle industrie militari e mantenere alta l’attenzione del mondo politico e delle associazioni, laiche e cattoliche, sulle autorizzazioni rilasciate dal governo per le esportazioni di armamenti.

Se il primo obiettivo si può dire sufficientemente raggiunto, almeno da parte dei principali gruppi bancari italiani, per il secondo l'Italia fa come i gamberi: «Ciò che più ci preoccupa», evidenzia padre Efrem Tresoldi, direttore di Nigrizia, «è il recente forte incremento di esportazioni di sistemi militari dall’Italia soprattutto verso i Paesi in zone di conflitto, a regimi autoritari e alle forze armate di governi noti per gravi violazioni dei diritti umani. Nel contempo è diventato sempre più debole il controllo parlamentare ed è stata erosa l’informazione ufficiale, tanto che oggi dalla Relazione governativa è impossibile conoscere con precisione le operazioni autorizzate e svolte dagli istituti di credito per esportazioni di armamenti».

«Per questo», spiega padre Mario Menin, direttore di Missione Oggi, «l’appello  è ancora più urgente. Se è vero che importanti gruppi bancari del nostro Paese hanno emesso delle direttive restrittive, rigorose e trasparenti, è purtroppo altrettanto vero che diverse banche italiane, e soprattutto molte banche estere attive nel nostro Paese, continuano a finanziare la produzione e l’esportazione di armi».

«Il motivo di questa campagna è semplice», spiega a FamigliaCristiana.it Giorgio Beretta, analista della Rete Disarmo e di Unimondo, «e lo si può spiegare guardando all'attualità libica: per anni l'Italia, insieme alla Francia, è stata la maggiore esportatrice di armi verso la Libia di Gheddafi, vendendogli ad esempio quei cannoni che tre anni fa la Francia ha bombardato, ma anche 8 milioni di euro in armi leggere, che l'inviato del Corriere Lorenzo Cremonesi aveva visto ben accatastate nel palazzo del rais e che oggi sono finite in mano alle più disparate milizie».

C'è un importante passo avanti su cui far leva: «Quindici anni di pressioni sono stati fruttiferi: varie banche hanno definito politiche di non appoggio al commercio di armi. Ma c'è di più: un gruppo come Ubi Banca, nel cui consiglio di amministrazione siede anche la ditta produttrice di armi Beretta, ha rifiutato recentemente un'operazione di export di armi al Turkmenistan (Paese tra i più autoritari e piagati dalla mancanza di diritti umani) e lo ha reso pubblico, per mantenere fede a un impegno faticosamente sottoscritto. Sono risultati importanti, che dimostrano come le azioni di pressione continuativa producano cambiamenti effettivi. Sono ormai molte le banche che, almeno nel settore del finanziamento all'industria bellica, hanno adottato una policy e la stanno osservando in modo molto attento e serio. Ci sono prestiti di Intesa San Paolo a Finmeccanica, che però è industria sia militare che civile: e se i finanziamenti vanno alla parte civile, è ottimo, è un segno di riconversione».

Restano due problemi: «L'export di armi non è controllato dal governo da ben 8 anni. Qualche giorno fa, su pressione di Sel e M5S, si è almeno ottenuto che se ne parlasse in Commissione, ma non è assolutamente sufficiente. Negli ultimi anni i governi Berlusconi, Monti e Letta hanno autorizzato quote sempre più consistenti di esportazioni di armi e sistemi militari verso il Medio Oriente, alle monarchie saudite e ai regimi autoritari di vari paesi ex-sovietici: le zone di maggior tensione del mondo. È tempo che il Parlamento torni a svolgere il ruolo di controllo che gli compete. Inoltre, se le banche italiane si stanno pian piano mettendo in linea sulla responsabilità sociale, lo stesso non si può dire per quelle straniere: Unicredit, Bnl, Deutsche Bank fra tutte, restano le più carenti e il governo ci ha tolto un prezioso strumento di controllo. Nel 2008 il governo Berlusconi ha spianato la strada ai colossi esteri: la Bnl di Milano svolge le operazioni del settore praticamente per tutta Europa».

Le pagelle

Bollino verde

a Banca Popolare Etica, che da sempre esclude operazioni legate all'export di armi, ma anche a tutte le banche appartenenti ai gruppi Monte dei Paschi (Mps), Intesa San Paolo, Banca popolare di Milano (Bpm), Banco popolare e Credito valtellinese: tutti questi istituti hanno emesso direttive che escludono tutte o buona parte delle operazioni di esportazione di armamenti e che danno precise comunicazioni in merito. È comunque necessario continuare a mantenere alta l’attenzione, perché le direttive per il settore degli armamenti sono in costante revisione e soggette a modifiche.

Bollino verde con riserva alle banche che hanno emesso direttive che limitano con chiarezza e rigore le operazioni di esportazione di armamenti, ma che soprattutto hanno scelto la trasparenza, dando una costante e dettagliata comunicazione in merito a tali operazioni. Tra queste, le banche del gruppo Ubi Banca (Banco di Brescia, Banca Popolare di Bergamo ecc.), che dal 2007 ha una direttiva molto restrittiva anche sulle armi di tipo non militare e  pubblica annualmente un accurato resoconto. Anche il gruppo Bper (Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Banco di Sardegna ecc.) nel 2012 ha emanato una direttiva abbastanza rigorosa e ha cominciato a fornire puntuali resoconti.

Da segnalare positivamente anche le recenti direttive emanate a livello internazionale dal gruppo bancario francese Crédit Agricole, che in Italia controlla il gruppo Cariparma (Carispezia, FriulAdria ecc.): sebbene sia ancora presto per una valutazione, il bilancio sociale 2013 ha già informazioni importanti. Anche nei confronti di queste banche è necessario continuare il monitoraggio e soprattutto chiedere ai gruppi Cariparma Crédit Agricole e Bper di migliorare ulteriormente le proprie direttive e la rendicontazione.

Bollino giallo

alle banche che, pur avendo emanato direttive interne, non le hanno rese pubbliche e/o non comunicano adeguatamente le operazioni che svolgono in appoggio al commercio di armi. Di questo gruppo fanno parte le banche del gruppo UniCredit, che nel corso degli anni ha modificato ampiamente la propria direttiva e presenta un reporting insufficiente. Ancor più carenti e fortemente contraddittorie risultano le direttive emesse dal gruppo francese Bnp Paribas: nonostante la Banca nazionale del lavoro (Bnl) abbia limitato le proprie operazioni alle esportazioni di sistemi militari dirette a Paesi dell’Ue e della Nato, persiste un’ampia operatività nel settore da parte della filiale italiana di Bnp Paribas, tanto che nell’ultimo quinquennio questo gruppo bancario risulta il principale referente per le esportazioni di sistemi militari italiani.

Bollino rosso

alle banche che non hanno emanato direttive o che risultano gravemente insufficienti e inadeguate per esercitare un efficace controllo. Deutsche Bank, pur essendo uno dei gruppi bancari più operativi nel settore degli armamenti convenzionali, non ha mai emanato una direttiva. Tra le banche estere figurano anche la britannica Barclays Bank, le francesi Natixis e Société Générale, la tedesca Commerzbank, la statunitense Citibank. Tra gli istituti di credito italiani, Banca cooperativa Valsabbina e Banca Carige, che negli ultimi anni hanno aumentato la loro operatività nel settore.

È su queste banche che va concentrata la pressione più forte da parte delle associazioni e dei correntisti, chiedendo loro di dotarsi di specifiche direttive sulle attività di finanziamento all’industria militare e al commercio di armamenti.

Che fare, concretamente?

  

I consigli della campagna “Quaresima disarmata” sono semplici e alla portata di tutti: anzitutto, promuovere nella propria associazione, parrocchia, gruppo culturale un momento di approfondimento sul tema delle spese militari e del ruolo delle banche nel commercio di armamenti; inoltre, chiedere di verificare se la banca della propria associazione o parrocchia ha emanato direttive sufficienti per un’effettiva limitazione delle operazioni di finanziamento e d’appoggio alle esportazioni di armi e, in caso contrario, chiedere di rivedere i criteri e le priorità nella scelta della banca; infine, attivati presso il proprio Comune chiedendo che nella scelta della tesoreria vengano introdotti criteri di responsabilità sociale per appurare il coinvolgimento delle banche in settori non sostenibili e in attività finanziarie a sostegno dell’industria militare e delle esportazioni di armamenti.

Le tre riviste si rendono disponibili per promuovere a livello locale momenti di sensibilizzazione sul tema e a seguirne le iniziative.

 
 
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