La Quaresima ha purtroppo una cattiva reputazione che deriva dal fatto che il termine “penitenza” viene interpretato come sinonimo di castigo, punizione quando, invece, il suo signifiicato biblico è quello di conversione, impegno per migliorare la propria vita alla luce del Vangelo.
Ad alimentare questa immagine poco entusiasmante della Quaresima ha certamente contribuito una visione alquanto pessimistica del nostro corpo e della vita terrena. Visione che in passato ha fortemente caratterizzato una certa spiritualità e di conseguenza la stessa prassi penitenziale.
Il nostro corpo, la nostra vita non sono opera del demonio, né il Creatore ce li ha donati come ostacoli sul nostro cammino verso il compimento della nostra speranza. Al contrario, tutta la realtà umana, anche quella che talvolta ci fa soffrire, ci è stata donata come strumento, come moneta da spendere bene, per giungere all’eternità beata, il traguardo per il quale noi siamo stati creati.
La Quaresima, infatti, si è strutturata nella vita della comunità cristiana fiin dal IV secolo non per autofllagellarci. Essa è sorta in primo luogo come immediata e gioiosa preparazione dei catecumeni che, dopo un periodo di catechesi e di “allenamento” alla vita cristiana, erano stati scelti per ricevere il Battesimo, la Confermazione e la Comunione nella prossima veglia pasquale. La Quaresima coinvolgeva anche coloro che erano già battezzati, i quali sostenevano i candidati al Battesimo con la preghiera e il digiuno e coglievano l’occasione per rinnovare la propria fedeltà a Cristo e al suo Vangelo.
Il comune impegno alla conversione non era vissuto nella cupa tristezza, ma affrontato con la consapevolezza di chi sa che senza fatica, senza rinuncia non è possibile raggiungere alcun traguardo alto e ambito.