Miliziani dell'Isis in Iraq (Reuters).
"Adesso vi faccio vedere come muore un italiano.." Furono le ultime parole del contractor Fabrizio Quattrocchi, ucciso dai suoi rapitori nell'inferno iracheno nel 2004. Ora vi sono altri italiani che vogliono far vedere come si muore in Iraq, ma inseguendo tutt'altra causa. Sono i jihadisti, i nostri, quelli che si chiamano Paolo, Giuliano o Alessandro, quelli che in Italia sono andati a scuola, quelli che hanno imparato a parlare la nostra lingua magari amalgamando le sillabe con le dolci inflessioni dialettali delle nostre regioni. Hanno avuto madri che cucinavano per loro spaghetti al dente, hanno giocato a calcio nella piazza del paese, sono andati in vacanza a Rimini. E poi la jihad.
Cos'é successo a questi nostri ragazzi, che i servizi segreti hanno individuato in una cinquantina di giovani, tutti partiti ad addestrarsi in Siria, in Pakistan o nei deserti rocciosi dell'Afghanistan, per perpetuare una battaglia carica d'odio, con il pretesto di una religione riscritta dai fanatici con inchiostro sinistro? Solo il 20% fra loro ha genitori immigrati. Alcuni sono ragazzi adottati da coppie italiane, altri sono nati qui e sono connazionali a tutti gli effetti. Se sono partiti in cinquanta, i cosiddetti "jihadisti da tastiera", ovvero quelli che si limitano a consultare siti estremisti e nei confronti dei quali i nostri servizi segreti nutrono il fondato sospetto che possano diventare gli addetti alla logistica di futuri attentati su suolo europeo, sono duecento, e in aumento progressivo e costante grazie al web e alla moltiplicazione di contatti tramite i social network.
Le nuove tecnologie si rivelano cosí al servizio di un'ideologia oscurantista da medioevo. Uno dei siti più consultati é Sharia4 Belgium, un sito fondato da integralisti belgi in quel di Bruxelles ( la filiera belga é etremamente attiva e pericolosa, basti ricordare il recente attentato che ha fatto diverse vittime al Museo ebraico della capitale. L'autore del massacro é stato poi arrestato a Marsiglia, in una stazione di autobus Eurolines. Alcuni connazionali si sono rivelati cosí assidui del sito da volerne creare una versione italiana, la Sharia4Italy.
Il sito belga ha motivato ad andare al fronte più di un neo-jihadista. Ad Anversa c'é un padre, Dimitri Bontick, ex militare, che é andato a riprendersi il figlio in Siria, fra i combattenti dello Stato islamico. Per assurdo che possa sembrare, il figlio si convertí all'Islam proprio grazie al sito, alla propaganda organizzata cosí bene da far credere, in maniera perversa ma molto abile, che diventare un combattente dell'Isis fosse esaltante quanto diventare un supereroe da videogame. La missione del belga ha avuto successo, l'uomo ha potuto far rimpatriare il ragazzo e ora sono numerosi i genitori in tutta Europa che chiedono a Dimitri di tornare laggiù per recuperare i figli.
E i genitori dei nostri estremisti? Spesso non sono al corrente di niente, spesso sono stati spettatori passivi e impotenti della deriva estremista dei figli, ragazzi molto spesso provenienti da famiglie operaie, cresciuti in periferia ma non certo in un ghetto, con ideologie vacue e una disperata ricerca di progetti per il futuro. Hanno in generale fra i quindici e i ventotto anni, sono ragazzini, cresciuti col fantasma della crisi economica presente nelle loro vite come una spada di Damocle, come un ladro subdolo che ha saccheggiato in parte l'essenza stessa della gioventù.
Molti di loro vengono dal Nord, da città quali Brescia o Padova dove spesso la massiccia e inattesa ondata di immigrazione ha fatto scaturire un razzismo serpeggiante. Se la politica cerca il superuomo da mettere ai comandi, loro cercano l'"ideologia massima", la battaglia che conferisce nobiltà all'animo e senso all'esistenza, sottraendoli da una mediocrità soffocante.I predicatori d'odio hanno cosí terreno fertile sapendosi porre esattamente come coloro in grado di fornire ciò che manca nelle loro vite.
Quando nel 2006 aprí l'Universitâ Islamica Avicenne a Lille, in Francia, c'era un manipolo di giovani italiani ad attendere davanti ai battenti. Uno di loro si fece portavoce di tutti: "l'Islam dà un messaggio forte, dà l'idea di una società coesa, non individualista". Ma allora erano tempi non sospetti e l'Avicenne non era certo una fucina di terroristi. Eppure quelli che partono per la Siria oggi hanno in fondo lo stesso desiderio: avere un gruppo che li accetti e che, in mancanza di ideali, ne fornisca uno già preconfezionato, non importa se tossico o con data di scadenza ravvicinata.
In Francia, il Primo Ministro Valls ha fatto approvare una legge in assemblea che permette la confisca dei passaporti a coloro che - ovviamente prove inconfutabili alla mano- si sono dimostrati intenzionati a partire in zone controllate dall'Isis per unirsi ai combattenti. La Norvegia vuole togliere la nazionalità agli aspiranti jihadisti e la Danimarca vuole seguirla a ruota. Noi non abbiamo ancora legiferato in questo senso, forse perché i numeri sono meno preoccupanti rispetto ad altri Paesi europei quali Francia o Regno Unito. Eppure la cronaca recente ha dimostrato che basta una cellula dormiente diventata attiva per innescare la tragedia. E la lezione di Hanna Arendt sulla banalità del male deve sempre essere ricordata. Mohammed Merah, il ventenne di Tolosa che prese per i capelli una bambina ebrea e la uccise a sangue freddo, fino al giorno prima era solo un ragazzo che amava il calcio, le macchine, e passava troppo tempo su internet. Un ragazzo come mille altri.