Eravamo al Pronto Soccorso, io e mio marito che doveva fare un controllo. C’era lì un ragazzo nero, muto. Quando sono andata a prendere un cappuccino per mio marito, lui mi ha detto: “Dallo a lui”. L’ho allungato al ragazzo nero, e gli ho chiesto qualcosa di lui: è qui da due anni, viene dal Ghana, ha il corpo coperto da cicatrici. Non ho mai visto così tanto dolore in uno sguardo nero, profondissimo. Ci ha detto: “Grazie” stringendo tra le mani il cappuccino e ci ha fatto un sorriso… Cosa avranno visto quegli occhi?
ANNINA
— Cara Annina, prima di gustare quei due occhi neri, lasciaci gustare l’intesa tra te e tuo marito! Di solito, in un Pronto Soccorso, ciascuno pensa ai fatti propri, alle proprie pene... e invece tu pensi a tuo marito, offrendogli un cappuccio e lui pensa a quel muto ragazzo nero che non ha nessuno. Insieme avete visto, in tutta la sua solitudine e il suo dolore, come un semplice cappuccio sia diventato un legame: lui ha allungato la mano, si è scaldato stringendolo tra le mani e ha sorriso. Qualcuno lo ha visto e lui, in quel momento, esiste per qualcuno. E così, tu e tuo marito ci insegnate che la prima forma di aiuto è vedere, aprire gli occhi; molti guardano e non vedono: il Buon Samaritano dell’antica e attualissima parabola vede il dolore dell’uomo ferito e maltrattato e si china. Certo, direte voi, voi avete offerto solo un cappuccio e non ve lo siete certo caricato sul vostro asino… ma talvolta basta un cappuccio per allontanare almeno per un poco il fantasma atroce di essere invisibili. Così ci insegnate un altro passo: talvolta, non potendo fare tutto o caricare il ferito sul proprio asino, non si fa nulla; non solo ci si gira dall’altra parte, ma ci si lascia irretire dall’impotenza. Voi, invece, avete allungato un cappuccio caldo e il suo sguardo riconoscente vi ha risposto. In modo del tutto femminile, tu, Annina, hai mostrato il tuo interesse per lui e “hai visto” il suo dolore, le sue cicatrici e, con grande delicatezza, hai abbracciato la sua storia. Tant’è vero che ti sei lasciata interrogare dal suo “sguardo nero, profondissimo” con profondità sconosciuta. E ci date la terza lezione: la relazione di aiuto ci cambia, ci fa capaci di altri orizzonti, ci fa diventare parte di una storia. Grazie!