Il colori sono quelli dello Shakhtar Donetsk, la squadra del Donbass che giocava in Champions un paio di mesi fa e il 28 gennaio scorso ha giocato con il Mariupol nel campionato ucraino. I nomi sulle maglie però non sono i soliti: non ci sono sulla schiena, sopra i numeri, i cognomi dei giocatori, ma altri nomi, fino a poco meno di due mesi fa punti ignoti sulla carta geografica per la maggior parte di noi, oggi diventati familiari attraverso le notizie della guerra che ci vengono in casa: Mariupol, Irpin, Bucha; Hostomel, Kharkiv, Volnovakha; Chernihiv, Kherson, Okhtyrka; Mykolaiv. Una 'formazione' di città fantasma, ridotte a stuzzicadenti in poche settimane: città di cui non abbiamo conosciuto la bellezza ma solo l’irrimediabilità dell’ammasso di macerie che sono diventate.
Un gesto simbolico della squadra di Donetsk, allenata da Roberto De Zerbi, scesa in campo sabato 9 aprile contro l’Olympiacos Pireo, nella prima partita del gran tour per la pace, con la scritta “no war”, no alla guerra sul petto, per raccogliere fondi per le famiglie delle vittime e per accendere un riflettore sul dramma di un popolo.
Ancor più dell’immagine delle maglie parla quella degli spalti. In un punto della tribuna a guardare la partita non persone ma elefantini, pavoni, cagnolini rosa, orsi di pezza: nell’apparente tenerezza la foto nasconde un dolore indicibile: i 176 posti occupati dai giocattoli, sono quelli lasciati vuoti dai bambini ucraini che non giocheranno più con loro, perché la guerra se li è presi prima che avessero il tempo di diventare grandi.
Sono probabilmente molti meno di quelli realmente perduti, sono solo quelli che si è riusciti a contare, ma si sa che che ce ne sono tanti altri dispersi tra le macerie, nella fuga dei profughi, nelle città al cui cuore distrutto non si è arrivati a fare la conta.
A volte le immagini posso più di mille parole, questa degli orsetti allo stadio è soltanto evocativa, non ha il dramma delle tante, anche crude, che vediamo ogni giorno arrivare in casa da giornali e Tv, eppure ha un potere enorme perché nell'alludere ci dà la misura di quello che non vedremo: non mostra, ma rende l’assenza: la vita davanti che c’era e non c’è più.