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venerdì 18 aprile 2025
 
la morte SCALFARI
 

Quei colloqui con Francesco alla ricerca del Dio di Pascal

14/07/2022  Le conversazioni tra una delle personalità più importanti del giornalismo e il pontefice raccontate dal direttore di Civiltà Cattolica Antonio Spadaro

«Il personaggio che più mi interessa è papa Francesco, io mi occupo del Papa e sono molto amico del Papa. È un rivoluzionario, è fondamentale»: così Eugenio Scalfari in una delle sue ultime apparizioni televisive. Un’amicizia ricambiata tra due grandi vecchi, che si sono incontrati più volte. A padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, compagno gesuita del Papa e profondo conoscitore di questo pontificato, chiediamo di commentare il rapporto tra papa Francesco e il fondatore di Repubblica. «Un rapporto tra due persone molte diverse, ma complementari, che hanno trovato un livello di conversazione profondo. Ho sempre percepito da parte di Scalfari un’attenzione anche emotivamente coinvolta nei confronti del Papa. Aveva un’ammirazione sincera, lo riteneva una persona capace di dare chiavi di lettura del nostro tempo. Ha valutato anche il suo messaggio religioso con curiosità, addentrandosi a volte in valutazioni di carattere teologico per le quali non aveva una preparazione specifica. Cosa che, comunque, tradiva il suo interesse profondo per la materia. L’aspetto che più lo ha coinvolto è stato il valore politico e culturale delle posizioni di Francesco, per questo gli si è accostato e poi alla fine affezionato. Mi è capitato di parlare con lui del Papa e l’ho visto affettivamente coinvolto. Da parte di Francesco va sottolineata una grande attenzione di carattere pastorale, aveva a cuore la persona insieme all’intellettuale. Evidentemente il Papa era consapevole della rilevanza di Scalfari per la cultura italiana, la sua non vicinanza all’ambiente ecclesiale e forse proprio per questo ha desiderato un’interlocuzione chiara, onesta e affettuosa. Ricordiamo come dopo gli incontri a Santa Marta lo abbia sempre accompagnato alla macchina, piccole cose che sappiamo dalla cronache di Scalfari, piccoli gesti che dicono della temperatura della relazione».

Una relazione tra due anziani. Il Papa più volte è ritornato sul ruolo degli anziani nella Chiesa e nella società, sull’importanza di valorizzarli e ascoltarli, quest’anno ha dedicato le catechesi del mercoledì agli anziani …può essere una chiave di lettura del loro rapporto?

«Sì, due persone avanti nell’età, che esprimono anche una saggezza nonostante prospettive differenti di lettura dei fatti. Scalfari, con una grande storia personale, molto coinvolta nelle vicende del nostro Paese, ha espresso una saggezza che alcuni hanno condiviso altri meno, però certamente capace di dare valutazioni forti sulle vicende italiane. Così come il Papa, con la sua posizione di vertice della Chiesa cattolica, capace di avere una visione internazionale. Due persone sagge, due anziani, che con grande sensibilità e disponibilità si sono sempre confrontati esprimendo visioni molto diverse della vita. Un uomo di fede e uno che ha sempre sottolineato la sua non credenza. A questo proposito mi ha sempre colpito il fatto che Scalfari ci tenesse a precisare che lui fosse un laico non credente. Ma lo ha fatto in maniera così insistente, su una cosa ovvia, che sembrava tradire una inquietudine. D’altra parte, è chiaro sin dal 1995, col suo volume “Alla ricerca della morale perduta”, che aveva fatto la sua scelta, e tra Voltaire e Pascal aveva scelto proprio Pascal e la sua inquietudine».

Lo stile dell’incontro cosa dice della qualità del dialogo tra il Papa cattolico e il giornalista laico non credente?

 «Il Papa non seleziona i suoi interlocutori e soprattutto non sceglie persone a lui simili. Ha sempre amato confrontarsi con persone, anche lontane, purché fossero aperte alla discussione. Da parte di Scalfari mi ha colpito una dinamica diversa. Leggere le sue interviste ha spesso significato per lo più leggere i desideri che Scalfari stesso proiettava sul Papa. Sono trascrizioni a memoria, filtrate attraverso la sensibilità, il linguaggio e la prospettiva di Scalfari. È da notare questo suo bisogno di trovare una persona che facesse da specchio per esprimere sé stesso ed è interessante che lo abbia fatto con un interlocutore completamente diverso da sé per chiarirsi e confrontarsi. Scalfari inseriva Francesco nelle sue ampie riflessioni nelle quali cercava di interpretare i nostri tempi. Il suo intuito di giornalista gli ha permesso di cogliere la rilevanza storica di questo Pontificato, anche molto meglio di altri».

Questo ha creato anche qualche problema nella comunicazione, con qualche smentita da parte della Sala Stampa vaticana…

«Indubbiamente. Ricordo che vidi Scalfari alla vigilia dell’uscita della sua prima intervista a Francesco, e poi leggendola ho avuto la percezione che non fosse quello il linguaggio, che Scalfari stesse dicendo più sé stesso che il Papa. Questo ha sicuramente creato sconcerto. Però le sue interviste sono importanti come evento, come fatto storico. Una personalità profondamente laica ha amato confrontarsi con Francesco, riconoscendone l’importanza storica. Quanto ai contenuti, evidentemente Scalfari non aveva il linguaggio per poter comunicare perfettamente l’intenzionalità di Francesco. D’altra parte, ribadisco, Scalfari aveva compreso Francesco nella sua rilevanza storica, se vogliamo anche di “rottura”. Non ha avuto alcun problema a riconoscere in Bergoglio - cioè in un Papa - una figura di grandissimo rilievo religioso ma anche culturale e specificamente politico per i nostro tempi. Aveva compreso, ad esempio, il senso della sua “politica della misericordia” che non dà mai nulla per perso nei rapporti internazionali».

Lei come ricorda Scalfari?

«Una delle personalità più grandi del giornalismo, italiano e non solo. Credo che servirà ancora un po’ di tempo per fare un bilancio del suo contributo. Mi colpisce che in questo ultimo passaggio, nei suoi pezzi ha sempre voluto inquadrare le questioni in cornici molto ampie, dal punto di vista storico e intellettuale, in contesti complessi e con prospettive che andassero al di là della mera illustrazione, degli effetti immediati. Richiamando ragioni storiche e intellettuali. Una scelta che da una parte lo esponeva al rischio di avere un linguaggio non perfettamente adeguato, o un po’ vago, ma dall’altra si rivela un elemento interessante: un uomo che alla fine della sua vita leggendo gli eventi sente che dobbiamo andare al di là del giorno per giorno e capire il significato di questi eventi all’interno della storia, delle idee e dei fatti. E questa è anche la chiave di lettura del suo rapporto con Francesco. Ha percepito una personalità di forte discontinuità, dal forte impatto sulla storia degli eventi e delle idee. E ha voluta dire questa cosa in tutti i modi».

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